Sinner, il numero 1 è Darren Cahill: chi è il coach dei miracoli
L’Italia si è accorta che anche nel tennis esistono gli allenatori mediocri, quelli bravi e quelli strepitosi come Darren Cahill, uno dei due tecnici (l’altro è Simone Vagnozzi, fuoriclasse della tecnica) del nuovo numero uno del tennis mondiale Jannik Sinner.
Ci si rende conto oggi che Cahill non è nuovo a queste opere: aveva già issato fino alla vetta il suo connazionale Lleyton Hewitt e poi Andre Agassi e poi ancora Simona Halep. Tre tennisti diversi in tre situazioni diverse - un giovanissimo, un già campione in crisi esistenziale, una donna rumena di un’altra cultura rispetto a un australiano. Non serviva Jannik per accorgersi che Cahill è il miglior coach di tennis al mondo da 25 anni, motivo per cui non è solo Sinner ad aver scelto Darren ma anche e soprattutto il contrario.
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Jannik è stato bravo a proporre un ruolo diverso. Cahill stesso lo definisce il “papà” del team. Il coach di campo sarebbe stato Vagnozzi mentre Darren avrebbe avuto la delega sulla parte tattica e psicologica, naturalmente senza dimenticare la racchetta quando Simone è assente. Non un super coach che comanda dall’alto, come è andato di moda negli ultimi 15 anni a partire dall’ingaggio di Ivan Lendl da parte di Murray, ma un secondo coach pari al primo, solo con un’area di competenza complementare. Cahill è un fenomeno nella gestione dello sportivo più che del tennista in senso stretto. Perché proietta sugli altri ciò che lui non è riuscito a essere. Miglior ranking il 22esimo posto, tornei vinti due, top in uno slam la semifinale agli Us Open 1988, per il resto terzi e secondi turni: un ottimo tennista, non un top player. Non ha mai giocato le partite per cui allena Sinner, così riesce a farle sembrare normali agli occhi del predestinato sotto pressione.
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Cahill è il Guardiola del tennis. Da giocatore ha sfiorato il meglio, da allenatore se l’è preso comprendendo il gioco meglio degli altri. Cahill, come Pep, giocava più per capire che per vincere. Un analista, più che un agonista. Basta recuperare in rete le sue analisi su ESPN, ruolo che si concedeva nei mesi di stacco tra un ingaggio e l’altro, per averne prova. È un illuminato. Uno di quelli che allenano per innovare, non per glorificarsi. Visto che il papà era allenatore di football, gli "rubò" il gestionale dei dati chiamato SportsCode e lo applicò al tennis per allenare Hewitt, in un’epoca in cui le statistiche non erano evolute come oggi. Sinner sarebbe diventato numero uno anche senza Cahill? Impossibile dirlo. Di certo, Cahill era il numero uno dei coach anche prima di allenare Sinner.