Jannik Sinner, Angelo Mangiante: "Cosa nasconde sempre agli avversari"
“Sinner? Agli avversari nasconde sempre le sue insicurezze e questo è un vantaggio. È umile, con una spiccata cultura del lavoro, che dedica tutto se stesso all’allenamento. Un esempio di applicazione, concentrazione e sacrificio. Sinner che vince sul campo lo vediamo tutti, ma ci sono tanti che lo fanno. Lui però rappresenta un modello anche fuori dal campo”. Commenta così Angelo Mangiante nell’intervista con Fanpage riguardo al 22enne tennista di Sesto, che ai sedicesimi di finale del Masters 1000 di Roma, lunedì 29 aprile, se la vedrà contro Pavel Kotov. La prima volta che il giornalista di Sky ha visto giocare Jannik, “mi ha colpito la concentrazione, la sicurezza e la tranquillità che aveva in campo — le sue parole — Era diverso, l’avevo visto giocare per la prima volta al Foro Italico contro Musetti ed era un giocatore che avendo solo 17 anni non faceva trasparire emozioni. Mi era piaciuta la sua capacità mentale, mi sembrava già un giocatore fatto”.
Si vedeva che dietro alle prestazioni di Sinner “c’era un lavoro meraviglioso di Riccardo Piatti, perché allora era allenato da lui. Aveva una fluidità di gioco e una velocità di palla notevoli, pur avendo pochi muscoli”. Nel cuore anche il match di Miami contro Griekspoor, interrotto per pioggia. “Lì è riuscito a vincere la partita — ha detto ancora Mangiante — Mi ha colpito per il modo in cui si è rimesso in discussione, perché stava perdendo il primo set ed era in difficoltà nel secondo. Ha chiesto condivisione di idee ai suoi allenatori, in quel momento ha accettato di essere guidato tatticamente dal coach e si vedeva proprio il viso di colui che avrebbe trovato una chiave per vincere. Mi colpisce la sua capacità analitica: anche nei momenti di grande difficoltà trova sempre il modo di superare i problemi”.
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Sul tennis tradizionale, invece, si parla tanto delle necessità di introdurre novità nel gioco: ”Qualche novità, se è funzionale, va bene, ma poi rispetto massimo per la sacralità del gioco e silenzio totale — ha detto Mangiante ancora — Questo non mi disturba, al contrario invece di soluzioni diverse sul regolamento come accorciare i set, portarli a 4 e così via. È come se nel calcio si decidesse di passare a partite di 60’: non si può cambiare la storia di uno sport radicalmente”. E sui bad boys nel tennis “per esempio Rune che fa il giocatore un po' border, dico no — ha detto ancora il giornalista — Il tennis non ha bisogno di bad boy, ma di giocatori come Sinner, Nadal, Federer, ovvero campioni di correttezza e rispetto. Teniamoci stretta la sacralità del tennis nel modo più classico, perché questa resterà la sua forza e unicità nello sport”.
Nell’intervista con Fanpage, Mangiante ha infine chiuso con un aneddoto finale: “Risale a quando giocavo e lo ricorderò sempre — ha raccontato — Avevo perso all’ultimo turno di qualificazione di un torneo ATP a Sofia in Bulgaria. Ero il primo Lucky loser in caso di forfait in tabellone. Eravamo tre italiani, c’era Alessandro De Minicis e Massimo Cerro. Dormivamo insieme. Ci fu un acquazzone che rimandò gli incontri e Massimo Cerro, che era in tabellone, vide i campi allagati, prese la bicicletta e andò a fare un giro per la città. Nel giro di poco però uscì improvvisamente il sole e in tre quarti d’ora asciugarono tutti i campi per far giocare le partite. Il giudice arbitro chiamò Cerro in campo, ma Cerro non c'era".
All’epoca però “non c’erano telefonini e non sapevamo come avvertirlo — ha concluso Mangiante — Disperati, lo cercammo dappertutto. Il supervisor ci disse che se non fosse entrato lui sarebbe toccato al primo Lucky Loser che ero io, altrimenti sarebbe entrato in campo il secondo che era un tedesco. Se non avessi accettato avrei perso il premio in denaro e l’ospitalità, quindi a quel punto, pur dispiaciutissimo per il mio amico, dovetti rendermi disponibile. Mi mandarono in campo, iniziai a palleggiare e poi via. Primo 15 del match e sento uno che urla fuori dal circolo: era Cierro che tornava a tutta velocità con la bicicletta. Troppo tardi però, perché avevo iniziato. Ma in quel momento ho capito la fugacità della vita. Può succedere sempre di tutto".