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Stephan El Shaarawy, il risveglio del faraone: perché si merita la Nazionale

Gabriele Galluccio
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Che strana la carriera di El Shaarawy. Talento precoce, giocatore con classe da vendere, un’ottima carriera tra Milan e Roma senza però mai raggiungere il pieno potenziale, complici alcuni infortuni piuttosto seri. Per dirla alla De Rossi, doveva diventare uomo per arrivare a essere un calciatore del massimo livello. E pensare che la sua carriera sembrava avviata al tramonto troppo presto, a causa della scelta di trasferirsi a Shanghai a 27 anni durante l’effimero boom del calcio cinese. Invece il ritorno nella Capitale ha segnato l’inizio della seconda vita calcistica del Faraone, ormai diventato uno degli idoli della tifoseria: il fatto che la sua maglia sia tra le più vendute, dietro soltanto a Dybala, Pellegrini e Lukaku, la dice lunga sulla stima che la gente nutre nei suoi confronti. Se l’è meritata con il sacrificio e l’abnegazione che hanno addirittura superato il talento, che pure è rimasto immutato nel tempo. 

El Shaarawy è stato il grimaldello che ha permesso alla Roma di scassinare il Milan. Nei due capolavori tattici con il quale l’esordiente De Rossi ha spiegato il giuco del calcio all’esperto Pioli, il Faraone è stato fondamentale: si è spostato a destra per annullare il punto di forza rossonero, rappresentato dalla catena Theo-Leao, ed è stato ossigeno puro nella partita di ritorno, con la Roma in dieci per oltre un’ora e aggrappata alle sue giocate per allentare la pressione rossonera. Egiziano d’origine e romano d’adozione, il Faraone nell’immaginario collettivo giallorosso è diventato quello che Eto’o è stato per gli interisti nell’anno del triplete. Il merito va riconosciuto anche a José Mourinho, “maesstro” del camerunese terzino, che ha lasciato macerie ma ha anche fatto cose buone: la mentalità vincente acquisita nell’ultimo triennio dalla Roma è merito suo, così come il miglioramento di El Shaarawy, che è diventato un esterno totale a furia di essere costretto a difendere e basta. 

De Rossi è arrivato al momento giusto per rimettere il calcio al centro della Capitale e le qualità tecniche del Faraone al servizio della squadra. L’ex capitan futuro è diventato mister presente: è moderno ma non di moda, è giochista ma anche risultatista, riconosce la necessità di adattare la tattica a seconda dell’avversario di turno. D’altronde De Rossi è figlio di Capello e Lippi, ha assorbito un certo modo di fare calcio che interpreta in chiave moderna. El Shaarawy ha beneficiato del suo arrivo perché è tornato a giocare parecchi metri più avanti, ma soprattutto ad avere compagni con cui associarsi. Non ha praticamente sbagliato una partita da quando è arrivato De Rossi, e allora forse è arrivata la sua ora anche in Nazionale: per Spalletti può rappresentare un jolly, essendo in grado di giocare in più sistemi tattici. E poi, banalmente, è uno dei pochi esterni italiani in gran forma e nella piena maturità calcistica: a 31 anni il Faraone si sente sicuramente pronto a sperimentare una prima volta, quella di essere protagonista all’Europeo.

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