Jannik Sinner mandato a casa in lacrime da papà: cosa c'è dietro l'errore con Tsitsipas
C'è la mano di papà Hanspeter in quello che tanti, sui social, hanno già etichettato come "l'errore fatale" di Jannik Sinner. Il 22enne di San Candido sabato contro Stefanos Tsitsipas in un momento cruciale della semifinale di Montecarlo, che stava conducendo 3-1 al terzo set, ha accolto senza fiatare l'errore, grave, del giudice di sedia che non ha visto una palla del greco fuori di almeno 5 centimetri.
Un plateale doppio fallo, senza "occhio di falco". Sarebbe bastato richiamare l'arbitro, fargli notare il segno sulla terra rossa e l'italiano avrebbe vinto il game, portandosi sul 4-1 e molto probabilmente avrebbe condotto in porto set e match, senza sforzi fisici ulteriori che l'hanno poi messo ko.
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"Perché non mi sono fermato? Non è il mio lavoro. In un momento così, io penso a giocare", ha detto a botta calda il numero 2 al mondo, sconfitto da Tsitsipas. Una ammirevole dimostrazione di sportività che, come spesso capita in questi casi, gli ha fatto vincere anche l'ingiusta palma del "fesso".
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Come ricostruisce il Corriere della Sera, però, in Sinner non c'è mai calcolo, tanto meno opportunismo. E' fatto così, e il merito è tutto degli insegnamenti ricevuti da bambino. Talento precoce anche nel calcio, il bimbo Jannik un giorno "da centrocampista del Sesto s’impadronì della palla e andò a segnare da solo, senza passarla mai". Papà Hanspeter (che era allenatore) "lo mandò a casa in lacrime senza fargli finire la partita" perché "aveva mancato di rispetto ai compagni". Una punizione che Sinner si ricorda ancora oggi: vietato barare, vietato mancare di rispetto agli avversari, far parlare solo e soltanto il campo. Una lezione utile, per esempio, per respingere gli assalti psicologici di tipi come Holger Rune.