Ciclismo? Cordiano Dagnoni: "Più impianti e meno tasse: come rilanciare il movimento"
Il caso della “tassa” di 5 euro per poter correre su strada, appena varata dalla Federciclismo, a partire dalle categorie giovanili, ha alzato un polverone e il presidente Cordiano Dagnoni, che sul provvedimento ha messo la firma, non si sottrae alla richiesta di spiegazioni, in una lunga chiacchierata con Libero: «Mi preme dire che si tratta di una facoltà, non obbligo, concessa alle società organizzatrici delle gare regionali di ogni categoria o specialità. Non ritengo corretto definirla “tassa” o “balzello” », sottolinea Dagnoni, «e la delibera presidenziale è stata utilizzata perché il Consiglio federale di gennaio era slittato e serviva un provvedimento che rendesse la decisione operativa in tempi brevi, visto l'imminente inizio della stagione».
C’è chi ha preso subito posizione contro. «È vero che Lombardia, Emilia Romagna e Toscana hanno comunicato di non aver aderito», precisa il presidente, «mala norma è stata discussa ampiamente con i presidenti di tutti i comitati regionali, e armonizza quanto accade in altre discipline del ciclismo. La Federazione non riceve alcun introito. Federazione che in tre anni ha erogato un milione di euro in ristori post pandemia per progetti dei comitati regionali».
Ma allora come sta il movimento ciclistico italiano? Abbiamo sedici discipline, nella pista siamo al top, Stefano Viezzi ha appena vinto la medaglia d'oro ai Mondiali di ciclocross juniores, siamo forti perfino nel ciclismo artistico, eppure a un Paese-copertina manca il grande uomo-copertina. «Ma io penso positivo. Se nella precedente gestione la media di medaglie vinte all’anno è stata di 45, nei tre anni con me siamo a 97,130 e 121: vero, raccogliamo i frutti di chi ha seminato, ma li sappiamo valorizzare«, esulta il presidente, che continua: «L’attività di base c'è, il Rapporto Nielsen certifica che in Italia il ciclismo è il terzo sport per numero di appassionati praticanti, circa 9 milioni, dietro alle palestre e al running, doppiando il calcio. Non sto parlando di agonismo, ma di quanti inforcano la bici e vanno a pedalare per piacere e passione».
In questa scia infatti è stato appena lanciato il progetto “Gente di bici”: «Ideato da Action Agency di Manuela Ronchi, l'ex manager di Marco Cordiano Dag Pantani, ha il nostro patrocino con la partnership di Generali e Decathlon. Si tratta di una tessera digitale dal costo di 10 euro che riguarda l'attività amatoriale e non agonistica, apre a una variegata scontistica e prevede l’assicurazione RC con le consulenze legali dell’associazione Zerosbatti».
Certo che il grande pubblico sogna sempre il campione. È vero che abbiamo un Ganna super, ma dopo Nibali siamo rimasti col cerino in mano: «A livello professionistico ci manca una grande squadra italiana. Pensate alla Astana che fa capo al Kazakistan o alla Bahrain, supportate direttamente dallo Stato. I budget enormi di questi team spostano gli equilibri, di conseguenza attirano i migliori corridori e tecnici. Ho parlato con il ministro Abodi per chiedere di pensare ad agevolazioni fiscali per quegli sponsor interessati a investire nel nostro ciclismo».
D'altra parte è vero che il bacino di utenza rischia di ridursi e i motivi sono molteplici: il calo demografico, le maggiori alternative rispetto a qualche decennio fa, compresi i giochi elettronici, le preoccupazioni dei genitori per la sicurezza, un diverso approccio al sacrificio che richiede uno sport del genere. «Questo mi permette di introdurre un altro discorso, quello dell'impiantistica», chiosa Dagnoni, «servirebbero più impianti multidisciplinari, più bike park, per attirare i ragazzi e farli divertire in sicurezza, dar loro gli strumenti per dare del tu alla bici. Mi chiedo: come è possibile che Milano non abbia un velodromo coperto? Esiste il Vigorelli, ma andrebbe gestito diversamente, in modo consorziale, ne ho già parlato con MilanoSport. Altra proposta che ho fatto riguarda l'ex velodromo olimpico dell’Eur. Essendo di proprietà del Mef, ho scritto al ministro Giorgetti: pensate che spettacolo se Roma avesse un velodromo regolamentare coperto. Ma il punto è che il problema degli impianti, in Italia, è più politico che economico».