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Milan, "4 su 13": il dato che condanna Pioli all'esonero

Claudio Savelli
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Se il calcio è la scatola di un puzzle, il Milan è il bambino che ne prende i tasselli - il perenne movimento, i moduli ibridi, le rotazioni, gli interscambi di posizione - e li butta alla rinfusa sul tavolo. Li conosce uno a uno, magari prova anche a sistemarli, ma senza mai aver chiaro il disegno finale. Così, alla prima difficoltà, si innervosisce e ribalta il tavolo. E via, ricomincia di nuovo chiedendo perdono. La squadra di Pioli, in campo, è questo insieme di pezzi.

Girano immagini del Milan spaccato in due, cinque dietro e cinque davanti. Certo, una fotografia non può essere sufficiente per analizzare una squadra, ma è un indizio a conferma della tesi per cui il Milan è spesso spaccato in due. Con un paradosso: porta sempre cinque uomini in zona di rifinitura ma sono schiacciati, piatti, non hanno inerzia, così crea poco. Tante big in Europa portano metà degli undici in avanti ma producono azioni pericolose e hanno meccanismi di pressione che evitano gli innumerevoli contropiedi a cui invece si presta il Milan (vedi l’azione Koopmeiners-Miranchuk da cui nasce il rigore del 2-1): in altre parole, Pioli rischia per niente.

 

 

 

La sfida all’Atalanta è un manifesto del caos. Raggiunto il vantaggio, la gara scivola nelle mani della Dea perché il Milan è messo male in campo, non riesce a governare il pallone né lo spazio quando il pallone ce l'ha l'avversaria. Non che sia fondamentale, ma con che modulo giocava? Non un 4-3-3, non un 4-2-3-1, non un 3-5-2, un po’ di tutto ma non era chiaro in che misura e in che fasi del gioco.


DESERTO TATTICO

Musah, ad esempio, ha giocato da esterno a tutta fascia ma anche da mezzala, Pulisic da seconda punta con un pizzico di trequarti e di mezzala, Loftus-Cheek galleggiava tra le linee senza partecipare né alla fase difensiva né a quella offensiva, Reijnders era solo in regia pur non essendo un regista, Leao isolato sulla sinistra in attesa di un supporto di Theo che, da centrale, si sganciava lasciando Jimenez, non a caso in difficoltà, largo in difesa, indeciso se accentrarsi o se avanzare.

Insomma, il Milan gioca in mezzo a un deserto tattico ed è anche privo di personalità in grado di germogliare senza terreno fertile attorno. Personalità che invece aveva gli scorsi anni, da Ibrahimovic a Kessié, passando per Tonali. Di fatto la squadra ha un solo leader in campo, che è Maignan ed è un portiere, quindi fisicamente lontano dal cuore delle azioni, e risulta fragilissima mentalmente. La dimensione del Milan che ne consegue è minore, come dimostrano gli scontri con le squadre dello stesso rango: i rossoneri hanno vinto solo 4 dei 13 scontri di vertice tra campionato e coppe contro Lazio, Psg, Newcastle e Roma. Poi sono arrivati tre pareggi con Napoli, Borussia Dortmund e, di nuovo, Newcastle, e ben sei sconfitte, tra cui il disastroso 5-1 nel derby che a inizio stagione anticipava molti problemi del Milan.

 

 

 

La squadra che ha saputo cavalcare l’onda dell'entusiasmo, reagendo a qualsiasi difficoltà, non esiste più: questa si lascia andare in polemiche sterili, anche via social tra due leader come Leao e Bennacer che si commentano a vicenda come se fossero tifosi qualunque. Il Milan è schizofrenico nella gestione dei momenti felici e apatico dopo aver subito le botte. Così si ritrova a gennaio con un triplete al contrario: fuori dalla Champions, dalla Coppa Italia e, a meno di improbabile doppio harakiri di Inter e Juventus, dalla corsa Scudetto.

L’Europa League può consolare una squadra in salute, ma dovrebbe preoccupare chi non lo è, essendo lunga (un turno in più per arrivare in fondo) e dispendiosa. In più, il Milan ora dovrà convivere con una metà di stagione che sembra un conto alla rovescia, con un allenatore che pare destinato a lasciare in ogni caso (perché nessun dirigente si conferma con chiarezza Pioli?) e con l’ombra di Antonio Conte (l'uomo giusto se è vero che alla squadra serve un elettroshock tattico e mentale) che si farà sempre più lunga, man mano che passeranno i giorni ma non i problemi. 

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