Gianmarco Tamberi: "Per il bis alle Olimpiadi mi massacro tutti i giorni"
I suoi voli immersi nell’oro sono una delle esperienze più lisergiche dello sport italiano. Sono cartoline dal Paradiso. Gianmarco Tamberi le ha firmate nel corso di una carriera incredibile, consacrandosi campione di tutto e facendo incetta di medaglie del metallo più prezioso: d’oro alle olimpiadi di Tokyo 2020, ai mondiali dello scorso agosto e agli europei indoor, ai campionati continentali open di Amsterdam 2016 e a Monaco di Baviera. Di più, non potrebbe aspettarsi questa pertica 31enne che ama il basket ed è conosciuto con un doppio soprannome: Gimbo e Mezza Barba. In realtà, una cosa che gli manca.
Nessun saltatore in alto ha vinto due ori consecutivi alle Olimpiadi, dal 1896 a oggi. Cosa aggiungere?
«Per quel risultato che sarebbe un clamoroso record mi ammazzo di lavoro ogni giorno, escluso il 25 dicembre che è sacro. Ma la vigilia di Natale e Santo Stefano ero in palestra».
Il sogno è conquistare Parigi 2024 con un salto a 2.40?
«Sarebbe il diapason di un’intera carriera: prima di Rio 2016, stavo saltando 2,41 e mi ruppi il legamento di una caviglia con quel balzo. Vincere l’oro a 2,40 avrebbe un significato pazzesco».
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Il ko prima di Rio fu il punto più deprimente della carriera?
«Però tutto il resto ha avuto origine lì. Immagini un ragazzo di 26 anni, reduce dalla vittoria agli Europei indoor dove aveva segnato il proprio personale con 2,39, che sogna un oro ai Giochi. Fu un infortunio che mi tagliò le gambe ma mi convinse a risalire».
La vita le ha restituito, in effetti, quello che le aveva tolto...
«Alle Olimpiadi di Tokyo ho avuto l’occasione della vita e l’ho colta in una giornata pazzesca che non dimenticherò mai. Quell'oro olimpico è stato vibrante, vinto ex aequo con il mio amico Mutaz Barshim dopo che avevamo saltato entrambi 2,37. Evento raro ai giochi».
Finì con un abbraccio fra voi due come accadde a Berlino 1936 quando Jesse Owens vinse l’oro nel lungo contro il suo grande amico Long. Anche loro, alla fine, si abbracciarono...
«Quella finale fu una poesia, la ricordo bene perché Barshim è il saltatore più forte di tutti i tempi e io l’avevo eguagliato».
I tre rivali da cui guardarsi a Parigi?
«Sicuramente Barshim, il coreano Woo e lo statunitense Harrison. Il podio uscirà fra noi quattro».
Gianmarco, perché ha rinnegato la celeberrima mezza barba? Era la sua griffe...
«Si trattava soltanto di un rito scaramantico brevettato un po’ stupidamente nel 2011, un modo per stemperare la tensione. Cominciai a radermi la parte destra del viso. A volte mi sono anche colorato i capelli. Poi a Tokyo gliela diedi su e vinsi l’oro. Così, addio mezza barba e addio criniera tinta».
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Leva di parlare di papà, del rapporto interrotto con chi è stato per anni il suo allenatore oltre che il suo genitore?
«Non tanto, a dire la verità. Confermo solo una cosa: al momento siamo molto distanti».
Però sua mamma ha auspicato che le cose tornino serene fra voi?
«Lo spero ma anche lei non ha poi tutto questo rapporto con papà. Potrei dire a lei la stessa cosa. Per cui...».
Una canzone di Claudio Baglioni recita: il tempo aggiusta tutto...
«Vedremo. Al momento mi vorrei concentrare soltanto su Parigi e sulla preparazione».
Si allena nella sua Ancona?
«No, sto partendo per il Sudafrica, da dieci anni trascorro un lungo periodo invernale vicino a Johannesburg dove c’è un centro magnifico e un clima splendido».
Coni suoi 192 centimetri sarebbe potuto essere un ottimo portiere calcistico...
«Amo di più il basket. Tifo per gli Houston Rockets ma la pallacanestro amo giocarla soprattutto per rilassarmi, è quasi una preparazione zen».
Tu e Chiara avete un Tamberino in... forno?
«Non ancora, ho soltanto Parigi in testa. Ma amo i bambini e con Chiara ne parliamo sempre».
Buon 2024, Icaro dei nostri tempi. E sogni dorati.