Paolo Maldini, il feroce attacco al Milan? Ecco perché ha parlato proprio ieri
Premessa: coltivo una sorta di venerazione per Paolo Maldini. Questo perché è Paolo Maldini e perché è uno feroce, cattivo quando ritiene giusto esserlo. Per intendersi: ero in curva il 24 maggio del 2009, quando la mia stessa curva fischiò il capitano - quel capitano - alla sua ultima col Milan. Ho visto 13 campionati in curva ma ho sempre pensato quel 24 maggio compreso che avesse ragione Maldini: lo contestarono, mi permetto una sintesi, perché fu feroce e cattivo con il (suo) mondo ultrà, al quale non ha mai lisciato il pelo. E per me - che la curva la conosco - fece bene a non lisciarlo.
Questo per dire: stupito dall’intervista di ieri con cui ha fatto a pezzi quel che resta del Milan? Niente affatto. Stupito dal tempismo? Niente affatto: Maldini non dimentica, ha l’istinto del killer e colpisce nel momento in cui fa più male.
Poi credo anche che avrebbe potuto risparmiarsi la mitragliata proprio ieri: poteva parlare quando lo fecero fuori o attendere fine stagione. E invece no: ha scelto i giorni del tracollo col Borussia, ha atteso un Milan in stato confusionale.
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STORIA E IDEALI
Il punto è che, badate bene, Maldini non ce l’ha col Milan, anche se troppi ora gli danno 17 del traditore. Lo mette in chiaro nella premessa dell’intervista a Repubblica che, sul pianeta ta rossonero, ha avuto l’effetto di uno tsunami: «Ci sono persone di passaggio, senza un reale rispetto di identità e storia del Milan. E ce ne sono altre legate ai suoi ideali, converrebbe tenersele strette». E indovinate lui dove si colloca... Presuntuoso? Forse. “Paolino” mica è semplice da maneggiare, e chissà se è davvero uno da «tenersi stretto». Ma chi ha il coraggio di negare il «legame agli ideali» faccia un passo in avanti. Nessuno, vero?
Snocciola alcune verità che appaiono granitiche: «Gli algoritmi? Non ce n’è bisogno, per prendere Loftus-Cheek, Pulisic e Chukwueze: basta usare i soldi che merita una società che finalmente fattura 400 milioni. Non si possono paragonare i quattro mercati precedenti con l’ultimo, avevamo armi diverse». Oppure: «Il nuovo stadio? Motivo di scontro. Non potevo mettere la faccia su un progetto da 55-60 mila posti, quasi tutti corporate. Lottavo per uno stadio più grande e con parte dei posti popolari. Vista la media di oltre 70 mila a San Siro, avevo ragione». Il ritorno di Ibra? «Gli posso suggerire che all’inizio sarebbe logico osservare e imparare».
Poi c’è la ferocia, qui non si ragiona in base alle categorie di vero e falso: «Scaroni? Il Milan merita un presidente che ne faccia solo gli interessi e dirigenti che non lascino la squadra sola. Lui non ha mai chiesto se serviva incoraggiamento a giocatori e gruppo di lavoro.
L’ho visto spesso andare via quando gli avversari pareggiavano o passavano in vantaggio, magari solo per non trovare traffico, ma puntualissimo in prima fila per lo scudetto». Feroce. Ecco, frasi del genere sono un indizio per capire perché, dal ritiro e fino al rientro in società nel 2018, non se lo sono poi tenuto così stretto.
Ma la pasta del numero 3 è questa, prendere o lasciare.
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UNO TSUNAMI
Nell'intervista-tsunami, Maldini sostiene anche cose discutibili, difficili da valutare. «Tonali? Avremmo fatto il possibile per non lasciarlo andare. Non siamo mai stati totalmente contrari a una cessione importante, ma non c’era necessità». Che cosa chiedeva Cardinale? «Di vincere la Champions. Spiegai che serviva un piano triennale. Da ottobre a febbraio l’ho preparato con Massara e con un mio amico consulente: 35 pagine di strategia sostenibile e necessità del salto di qualità, mandate a Gerry, a due suoi collaboratori molto stretti e all’ad Furlani. Nessuna risposta». Chissà. Poi insiste sul fatto che «su 35 acquisti ci contestano De Ketelaere, che aveva 21 anni. Se si scelgono ragazzi di quell’età, la percentuale d’insuccesso è più alta». Ecco, ci sarebbero anche Origi, Dest, Vranckx, Adli e qualche altro nome non poi così lucente. E ci sarebbe da dire che il ragazzino belga era sì un ragazzino, eppure l’abbaglio è di quelli che lasciano il segno. Poi, giustamente, Maldini mica si dà del fesso da solo.
Luci e ombre in quel che dice. Traditore? Mai nella vita. Sgradevole? Forse: ma se lo cacci come lo cacciarono a giugno, lui ti fa a pezzi e se necessario – ve lo ricordate in campo? - ti umilia. Conclusioni: non credo abbia tutti i torti. E poi, senza (un) Maldini da qualche parte - in campo, a volteggiare a Milanello - negli ultimi 40 anni non abbiamo vinto così tanto.