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Rafa Leao, "non è ancora un leader": chi spara a zero, un caso al Milan

Claudio Savelli
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Ivan Provedel e Rafael Leao sono le facce della stessa medaglia della prima giornata di Champions League. I volti di due pareggi diversi: l’1-1 di una Lazio che ha dominato l’Atletico Madrid e lo 0-0 di un Milan che non ha saputo sfruttare la pochezza del Newcastle.

Da un lato c’è il viso concentrato, serio, glaciale di un portiere che segna all’ultimo secondo della gara d’esordio nella competizione. Dall’altro c’è l’espressione svogliata, disorientata, quasi disinteressata di un attaccante a cui è stato chiesto, tramite un rinnovo da strappo alla regola del tetto ingaggi (con i bonus arriva a 7 milioni, i compagni al massimo a 4) e la maglia numero 10, di essere leader assoluto del Milan, ma che nella prima gara in casa dopo un derby straperso gioca una delle peggiori partite da quando veste rossonero, come se fosse di colpo tornato indietro di quattro anni. Provedel tocca il punto più alto della sua carriera poco dopo che Leao ha toccato uno dei punti più bassi. Sono opposti che si attraggono per dimostrare che la mentalità, nel calcio, è tutto. Il portiere è arrivato a Roma a prezzo di saldo (2,6 milioni dallo Spezia, bonus inclusi) per fare il vice di uno sconosciuto (Maximiano, già ceduto) e nel giro di un solo anno, a suon di prestazioni e silenzi, è diventato leader della squadra e convocato in Nazionale.

 

 

 

COPERTURE

L’attaccante delude in campo internazionale o nelle partite di alto livello, dove le avversarie hanno un occhio di riguardo nei suoi confronti (da Darmian a Trippier, le coperture erano dedicate): nelle 16 presenze in Champions, Leao ha fornito sì 6 assist ma ha segnato solo 2 volte. Se Provedel a 29 anni sembra un ragazzo che vuole dimostrare di valere e non ammette distrazioni, Leao a 24 anni si atteggia come campione affermato che non ha nulla da dimostrare. Sono i due volti di Lazio e Milan e delle rispettive reazioni alle difficoltà in campionato. I biancocelesti hanno giocato una signora partita contro l’Atletico, sopportando un gol rocambolesco e provando a prendere un meritato punto fino all’ultimo secondo.


Se in Ala Lazio è sembrata spesso un insieme di singoli non ancora in perfetta sintonia, in Champions si è comportata da squadra, ed è in un contesto simile che poi il più singolo dei singoli (il portiere) trova un momento di esaltazione. I rossoneri, al contrario, hanno reagito al derby mettendosi in proprio. Contro il Newcastle si sono viste più azioni individuali che schemi corali e le occasioni fallite sono dovute alla volontà di diventare gli eroi della serata. Leao ne è l’esempio più cristallino in quell’azione che ha fatto il giro del mondo con la stessa velocità del gol di Provedel: dribbla tutti a testa bassa e si specchia nella sua stessa grande azione, concludendo con un goffo e presuntuoso colpo di tacco comodo per Pope quando avrebbe potuto calciare a colpo sicuro e segnare.

 

 

 

PARADOSSO

Provedel, persona che non ama prendersi le copertine, rappresenta la serietà con cui la Lazio ha approcciato alla Champions, cosa non scontata conoscendo il fastidio di Sarri verso l’impegno infrasettimanale (eterno paradosso: una vita a inseguirli, per poi rimpiangere le settimane di soli allenamenti). Leao, calciatore da prima pagina, rappresenta la presunzione che sta innervando il Milan e l’incapacità di farsi un esame di coscienza dopo una batosta. Il portiere biancoceleste dopo la gara ha minimizzato la sua prodezza sottolineando che «la squadra debba pensare al campionato, dove deve recuperare punti» (sabato arriva il Monza) mentre Leao non ha parlato, e va bene così. Però deve arrivare ora un’assunzione di responsabilità nei fatti, in campo.

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