Paola Egonu? Ecco da chi è stata rovinata: un caso politico
Per gli standard italiani, è come se Paola Egonu fosse una star calcistica applicata alla pallavolo. Non proprio il nostro sport nazionale. Se i miliardari, influencer e personaggi tout court con gli scarpini ai piedi sono una sorta di semidivinità, lo stesso non si può dire dell’impatto in termini di notorietà e di peso specifico dei colleghi, e peggio ancora delle colleghe, della pallavolo. Egonu però fa eccezione. Nella sua giovanissima carriera (ha 24 anni) è diventata, in un certo senso, più grande di tutto il movimento del volley. Colpa, o merito, di quanti hanno fiutato l’interesse ad anteporre al suo talento cristallino il fatto che come fenotipo corrisponda alla perfezione al nuovo standard di vita ultraprogressista: è nata a Cittadella da genitori immigranti dalla Nigeria, è donna, è “gender fluid”. Una perfetta testimonial dell’Italia del futuro che sognano dalle frange arcobaleno.
GIGANTESCO HYPE
Il gigantesco hype costruito intorno alla sua figura nel momento più delicato della sua carriera, quello cioè del passaggio da campionessa a leggenda, non ha fatto altro che mostrare le debolezze di una personalità fragile. Dai monologhi contro l’Italia Paese «razzista» pagati coi soldi pubblici di Sanremo, al trasferimento shock dello scorso anno in Turchia (approdando al VakifBank, con cui ha vinto tutto e guadagnato uno stipendio triplo rispetto a Conegliano, ha messo da parte tutte le lezioni sui diritti civili di cui l’Italia ha molto meno bisogno della Turchia) fino ai capricci in mondovisione dopo la disfatta del Mondiale in Olanda 2022. Massimo Gramellini, che ovviamente ne ha preso le parti gettando la croce contro il ct Mazzanti reo di «mortificare il talento» della Egonu relegandola in panchina all’Europeo e innescando la sua autoesclusione polemica per il preolimpico di Lodz (in Polonia), l’ha paragonata, carattere burrascoso annesso, ai Maradona e ai Pelé, i quali dovrebbero essere “gestiti” dai loro tecnici e mai considerati al pari degli altri. Il problema di Egonu però è che più che Maradona e Pelé sta iniziando a ricordare Mario Balotelli. Grande talento, grandissima esplosione, ottimi risultati nei top club, zero autodisciplina e fallimenti sonori quando le responsabilità bisogna dimostrare di saperle reggere. Il turning point nella carriera azzurra di Paola Egonu è stata l’elezione a portabandiera alle Olimpiadi di Tokyo. Una scelta molto ideologica e molto poco sportiva. Tant’è che, con gli occhi del mondo puntati addosso, l’Italia fallì miseramente. Poi, anche grazie al lavoro di Mazzanti, sono arrivati i successi all’Europeo e in Nations League, fino alla (parziale) debacle mondiale (nota alle cronache proprio per via delle lamentele di Egonu che invece giocò parecchio sottotono) e al cucchiaio di legno delle scorse ore in Polonia e Olanda.
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CRONICI PROBLEMI
Nel mezzo, i cronici problemi di spogliatoio che avrebbero portato in tempi non sospetti la stessa Egonu e alcune senatrici azzurre, non convocate da Mazzanti (De Gennaro, uno dei migliori liberi al mondo, Chirichella, capitano della squadra e Bosetti, altra pedina fondamentale per la ricezione), a guidare una rivolta per estromettere il ct dal suo incarico. Giuseppe Manfredi, presidente FIPAV, avrebbe respinto le pretese e difeso il ct a cui, realisticamente, avrà accordato anche la scelta di lasciare in panchina Egonu a beneficio di Katya Antropova, che ora viene ritratta come una sopravvalutata per giustificare gli attacchi a Mazzanti e invece è un fenomeno. La sensazione è che la frattura tra il ct marchigiano e la campionessa di Cittadella non sia più ricomponibile. Ai Giochi di Parigi ci sarà o l’uno o l’altra. In base ai risultati del preolimpico, ma non solo. Perché a Mazzanti il benservito potrebbe essere dato ugualmente di fronte alla prospettiva inaccettabile di un’Olimpiade senza Egonu. Sarebbe la dimostrazione che, nel volley, il “brand” Egonu sia diventato ormai più potente di quello tricolore.
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