Luciano Spalletti, la pedina decisiva: il nome con cui "ribalta" l'Italia
Non è ancora l’Italia di Spalletti ma non è più l’Italia di Mancini. In una sola convocazione, il nuovo ct ha spazzato via quell’eccesso di riconoscenza verso la generazione-Europeo che già è costato il Mondiale e ultimamente stava portando al collasso la Nazionale. Per paura di rompere con il passato, si posticipava il futuro, ignorando il presente che pure offre talenti di crescente spessore. Esempi? Bastoni e Dimarco sono arrivati in finale di Champions League eppure con Mancini non sono mai stati titolari perché bisognava garantire il posto a Bonucci o Toloi e Spinazzola o Emerson.ù
Non è ancora l’Italia di Spalletti perché va sistemato il danno lasciato dall’Italia di Mancini, ovvero quel ko facile contro l’Inghilterra e l’obbligo di vincere le prossime due partite contro Macedonia (sabato) e Ucraina (martedì). Quindi la rosa è un compromesso («Serve spessore internazionale per queste gare», ha detto il ct) ma che pende dalla parte del talento e del momento: chi non gioca, non viene chiamato, anche se si chiama Bonucci o Jorginho o Verratti o anche Acerbi, che a differenza degli altri ultratrentenni ha mantenuto un livello competitivo altissimo lo scorso anno. Pur senza sbandierare la rivoluzione, come prima mossa Spalletti ha fatto fuori gli ultratrantenni. Di riferimento c’è già Buffon nelle nuove vesti di capodelegazione, e tanto basta. Sul campo si ragiona alle imminenti gare ma la stella polare dovrà sempre essere il Mondiale 2026: i 33enni di oggi saranno 36enni alla prossima grande rassegna, quindi vanno convocati con parsimonia.
LA SOGLIA
Immobile è tornato nel giro ed è il più vecchio con i suoi 33 anni, assieme a Darmian che, visto il livello tenuto con l’Inter, è difficile ignorare. Nessun azzurro va oltre i 33 anni: ecco la soglia. Seguono Biraghi con 31 primavere, Spinazzola, Politano e Di Lorenzo con 30: tutti gli altri (e sono 23) sono nella prima metà della carriera. Il capitano del Napoli è un punto fermo nel ruolo di terzino destro e lo sarà anche nel prossimo triennio, l’ala è un usato sicuro per il ct mentre i due terzini sinistri di cui sopra dovranno guardarsi le spalle dall’ascesa di Udogie che sta facendo faville al Tottenham e che Spalletti conta di inserire nel prossimo giro di convocazioni. Già così, l’età media della rosa si è abbassata a 26,2 anni, oltre uno in meno rispetto alle abitudini manciniane, e a breve è destinata a diminuire ulteriormente.
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Visto che le cronache di Coverciano raccontano di Raspadori favorito su Immobile nel ruolo di centravanti, la prima formazione titolare di Spalletti potrebbe non avere nemmeno un over 30, con i soli Di Lorenzo e Politano sulla soglia. Il capitano sarà nel caso Donnarumma, secondo in presenze azzurre dopo Immobile, e il vice Barella: un 24enne e un 26enne a guidare l’Italia. Nel Paese in cui si confonde l’esperienza con l’età è un enorme passo avanti. Di esperienza, infatti, Donnarumma e Barella ne hanno parecchia, anche internazionale, quindi è tempo di affidare loro anche le responsabilità dei grandi. Vuol dire non considerarli più eternamente giovani e invidiare i giovani degli altri che ci sembrano sempre più maturi, anche se non è vero. La ridistribuzione degli oneri è un processo che si innesca in automatico quando si rinuncia ai grandi vecchi. Di colpo, i giovani - che poi così giovani non sono: solo Scalvini e Gnonto tra i convocati hanno meno di vent’anni, per la precisione 19 - non hanno più un ombrello sopra la testa e si accorgono che tocca a loro proteggere i compagni. Questo stesso processo Spalletti l’ha vissuto a Napoli lo scorso anno quando sono andati via Koulibaly, Insigne e Mertens e gli altri, da Di Lorenzo in giù, automaticamente hanno fatto un passo in avanti e un salto di qualità. Nell’Italia questo innesco sarebbe dovuto arrivare un anno e mezzo fa. Pace. Arriva ora con Spalletti. Meglio tardi che mai.
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