Feltri, il ritratto del "bollito" Bonucci, "i tre assist di San Culo"
Leonardo Bonucci ha 36 anni e ancora dieci mesi di contratto con la Juventus, ma i suoi rapporti coni bianconeri sono ai ferri corti. L’ex capitano è stato messo fuori rosa e costretto ad allenarsi da solo: ecco perché ha deciso di diffidare il club e ora può rivolgersi al collegio arbitrale. Questo il ritratto con cui Feltri celebra il campione.
E a un certo punto magari tornerà anche Balotelli, se farà il bravo, perché di uno che tira giù le porte ne abbiamo bisogno. Per ora, fra molti segnali in contrasto fra loro mandati dai nostri virgulti, una partita via l’altra, si è notato che a brillare di nuovo è uno dei senatori più controversi negli ultimi anni: Leonardo Bonucci. Ha superato Del Piero quanto a presenze in azzurro, 121. Mancini, per inciso, è l’allenatore che lo fece esordire in Serie A con l’Inter, il 16 maggio 2006, mettendolo in campo al posto di Solari per i minuti di recupero della partita casalinga con il Cagliari che finì 2-2.Una comparsata che bastò a farlo entrare fra i campioni d’Italia di quell’anno, quando lo scudetto venne assegnato ai nerazzurri in seguito alle sentenze di Calciopoli.
Per raccontare di uno dei calciatori più miracolati, in senso letterale, degli ultimi tempi, mi è necessario entrare in qualche dettaglio della psicologia del mio santo protettore, del quale non sono, per l’appunto, l’unico cliente. Devo premettere quindi che San Culo non si manifesta con chi è privo di talenti e i suoi servigi vanno presto in decomposizione se chi li maneggia è portatore di fioca intelligenza.Inoltre, raramente San Culo manifesta la sua presenza a ripetizione in un lasso di tempo breve: di norma preferisce lanciare un solo dardo fortunato e abbandonare poi il destinatario alle sue normali responsabilità, con un’opportunità aggiunta ricevuta in dono per cambiare il corso degli eventi.
L’ALTERCO CON ALLEGRI
Il caso di Leonardo Bonucci è interessante, perché rientra in questo schema ma è anche un’anomalia. Infatti dopo il tricolore con l’Inter (sono bastati tre minuti, San Culo aveva già fatto capolino) e sette anni di vette con la Juventus (sette scudetti, tre Supercoppe, tre Coppe Italia), nel 2017 è andato in uggia con il tecnico Massimiliano Allegri, con il quale, credendo improvvisamente di essere l’allenatore in campo, aveva avuto un alterco per una questione di sostituzioni durante l’incontro casalingo contro il Palermo, il 17 febbraio 2017. Partita vinta agevolmente per 4-1, fra l’altro. Bonucci venne messo in castigo per l’incontro di Champions contro il Porto, poi a fine campionato migrò al Milan (la meta più impensabile, sia per i milanisti sia per gli juventini), pagato dai rossoneri il prezzo più alto di tutti i tempi per un difensore, 42 milioni, dove forse pensava di vendicarsi. Si presentò come leader, ha indossato la fascia di capitano e alla fine è andato malissimo, insieme con la squadra, senza spostare il campionato rossonero di un capello rispetto a come il Milan avrebbe giocato senza di lui; è tornato subito alla Juventus, si è riconciliato con il tecnico, ma, di nuovo, non ha brillato. A 31 anni, sembrava aver imboccato i cancelli del viale del tramonto.
Poi il mio santo gli ha messo tre volte la mano sulla testa. Prima manata: è arrivato Maurizio Sarri. Il quale è un apostolo della difesa a quattro, odia il contatto fisico (che ai margini della propria area è la principale causa di morte per la porta), e soprattutto fa giocare i suoi applicando, almeno idealmente, una zona pura. Questo significa che, rispetto alla tradizione della Juventus, che si difendeva volentieri con una chiusura ermetica alla trequarti, il punto di riconquista del pallone è avanzato di vari metri, con lo scopo di asfissiare i passaggi attraverso cui gli attaccanti avversari avrebbero impegnato la difesa di posizione. Questo metodo si è rivelato inaspettatamente vantaggioso per Bonucci, il quale è un calciatore che non ama molto avere larghi spazi alle sue spalle e, non essendo velocissimo, soffre i fuoriclasse e a inseguire attaccanti che partono all’arrembaggio da lontano, rischia di perdere il treno. Inoltre, negli ultimi due anni, in cronico ritardo sul piano fisico, aveva cominciato a perdere i contrasti, volare di lato in tutti i spalla a spalla, a soffrire gli uno contro uno frontali, e il suo sistema di posizionarsi in area davanti all’avversario diretto per avere sempre il vantaggio dell’anticipo quando arrivava un cross non era più molto efficace, per cui se lo perdeva e l’altro gli faceva gol.
Con Sarri, invece, il Bonucci maturo ha potuto valorizzare le sue qualità residue, che sono poi la sua griffe calcistica, e che dieci anni fa lo avevano reso il paradigma del difensore moderno: il presidio assoluto della zona che gli è stata assegnata, la qualità tecnica nel tocco di palla, la capacità di prevedere da dove arriverà e a chi sarà destinato il passaggio, l’uscita dall’area con il passaggio di impostazione in canna. A Sarri non interessa tanto la marcatura dell’avversario (anzi tende ad annullare i duelli individuali) quanto invece la posizione del pallone rispetto alla porta, per cui richiede ai suoi terzini uno sforzo cerebrale, concentrazione e tempismo. E se la sua squadra deve difendere basso, uno dei difensori va a rompere le scatole a chi sta per crossare. La Juve ha sofferto nelle prime partite il tempo necessario perché i suoi acquisissero gli automatismi di questo sistema, basato sul pressing, sulla difesa alta e la squadra corta, ma già contro l’Atletico Madrid, partita tutt’altro che perfetta, abbiamo visto Bonucci liberare l’area sette volte con un lindore che sembrava preveggenza. E ispirare anche il gol di Cuadrado, con un’intuizione sulle intenzioni degli spagnoli in attacco che gli ha consentito di rompere le righe, portare via la palla a Diego Costa e lanciarla lunga di esterno destro, sontuosamente, a Higuaín dall’altra parte del campo.
SUPERSTITE E CAPITANO
Con la squadra orfana di Barzagli, quando è arrivato il giovane talento Matthijs de Ligt, il destino di Bonucci sembrava di dover giocare con lui la morra campo/panchina una partita alla volta, dando per inamovibile il sempiterno Giorgio Chiellini. Ma a fine estate Chiellini, in allenamento, si è sinistrato il crociato del ginocchio destro. Così Bonucci è rimasto solo a presidiare il centro della difesa bianconera, e anche ha ricevuto la fascia di capitano. Terzo colpo di culo: il giovane de Ligt, che viene dall’Ajax delle meraviglie di Champions, è un ragazzino con un fisico importante, molte doti e con tutti i limiti dell’età. In Olanda giocava un calcio pieno di allegria, incosciente e fanciullesco, che ci ha affascinati: veder giocare l’Ajax ha fatto bene al cuore di chi ama questo sport, anche se alla fine le hanno prese (gli olandesi sono un po’ così, ogni tanto esplodono generazioni che giocano il calcio più felice, aprono strade impensabili che tutti poi seguiranno, ma non vincono mai niente). In Bonucci, insomma, la modernità è invecchiata e poi è ringiovanita. Superato a destra dall’evoluzione del calcio, che è diventato molto più veloce e ai difensori chiede «di base» di possedere le caratteristiche che dieci anni fa avevano fatto di lui un rivoluzionario del reparto, con la zona di Sarri è tornato un pilastro. Succede ai campioni, perché dato che durano nel tempo, attraversano mille fasi, qualcuna vantaggiosa, altre recessive. E succede anche perché Bonucci non ha l’anima del difensore, non si comporta da difensore, non ha il carattere del difensore. Bonucci è nato centrocampista e quello è rimasto, solo venti metri indietro.
Bonucci è nato nel 1987 a Viterbo, nel quartiere medioevale di Pianoscarano e ha cominciato a giocare a pallone appena le gambe hanno iniziato a girare da sole. Ma tutto cominciò veramente quando Carlo Perrone (ex difensore romano che a cavallo degli anni Settanta e Ottanta aveva giocato con qualche fortuna soprattutto nella Lazio, e anche nella Roma), che nel 2003 lo allenava negli Allievi della Viterbese, si trovò senza difensori proprio mentre si doveva giocare uno dei tornei giovanili più importanti, il Pescatori, e la prima partita era contro la Roma. Bonucci si stava distinguendo come centrocampista centrale, ma Perrone aveva bisogno e lo spostò indietro. Finì 3-2 per la Viterbese, e il giovane Leonardo segnò tre gol, dando un assaggio di quello che sarebbe diventato un altro marchio di fabbrica, seguire l’azione d’attacco e sbucare alle spalle degli avversari, mandandoli in confusione. Perrone raccontò che, come tutti i ragazzini, per Bonucci giocare dietro quando si era stati davanti era come essere degradato, per cui il giovane calciatore si lagnò fino a che l’allenatore gli restituì il posto a centrocampo. La Viterbese chiuse il campionato terza dietro Lazio e Roma, davanti alla Ternana, dove giocava un altro che la sapeva già lunga, l’allievo Candreva.
L’anno dopo Bonucci giocò perfino centravanti, almeno fino a che non ne arrivò uno vero e allora Perrone lo prese in disparte e gli disse: «Tu puoi fare una carriera importante, ma segui il mio consiglio, spostati a difensore centrale, in quel ruolo hai margini di miglioramento». Si fidò e come è andata a finire è noto. Bonucci è anche stato uno dei calciatori più detestati: sicuro di sé, a volte prepotente, di sicuro resiliente, pronto a prendersi responsabilità in campo, aggressivo, e con il carattere del tifoso, della Juve, ovviamente. Nel tridente difensivo con Chiellini, Barzagli ha incarnato la rinascita dei bianconeri dopo due settimi posti mortificanti. Non era un predestinato (a inizio carriera era più celebre per gli errori, che vennero chiamati «bonucciate», che per la classe), non aveva il carisma di Buffon né l’aristocrazia di Marchisio, non era un campione, lo è diventato.
SCIACQUARSI LA BOCCA
Il suo gesto di «sciacquarsi la bocca» dopo aver segnato un gol è stato polemizzato, una volta gli è stato perfino contestato di aver dato una (impercettibile) testata all’arbitro Rizzoli, ma la curva è sempre stata con lui, perché con quell’aggressività, quell’incapacità di essere diplomatico e di resistere alle provocazioni, è considerato dagli spalti un tifoso prima che un calciatore. Bonucci è un po’ cambiato, lo si è visto più tardi. Cagliari-Juventus, il virgulto Kean, che era stato beccato da insulti razzisti per tutta la partita, ha segnato il 2-0 (la Juve ne farà altri due) e ha esultato andando sotto la curva avversaria, fermandosi a guardare i volti dei tifosi. Apriti cielo - incredibile per la reazione di Kean e non per l’atteggiamento cretino degli ultrà sardi. Bonucci, che era quello che dopo aver segnato disegnava un cerchio con il dito intorno al suo viso per simboleggiare «viso aperto», interpellato sulla questione, commentò che Kean aveva sbagliato, che si festeggia con i compagni, e chi non ignora i bulli diventa anche lui responsabile del loro comportamento. Ah, questi talenti maturi (cioè vecchi) che proprio quando vengono dati per bolliti appena capita l’occasione mettono in fila tutti, quanto mi piacciono. Indovinate perché? Un peccato buttare via un atleta simile.