Leo Turrini: "Quel giro in pista a Spa insieme a Senna"
Spa è il luogo delle emozioni. Dove il perimetro dei ricordi si allarga a tempi lontani: “Qui Senna nel 1990 mi fece fare un giro su una monoposto di serie. Anche su una macchina così, con Ayrton alla guida, è una roba da chiudere gli occhi”, racconta Leo Turrini. Opinionista di Sky e colonna di QN, nato a Sassuolo, è la memoria storica della Formula 1. Alla vigilia del GP del Belgio, su Max Verstappen è ironico: “Basterebbe appiedarlo. Il risultato sarebbe un campionato bellissimo, equilibrato. Dove gli altri sono tutti molto vicini tra loro”. Quando si parla di Maranello, quel perimetro si fa più stretto. E la delusione prende il realismo sottobraccio. “La SF-23 è chiaramente un progetto non azzeccato. Dovrebbe cavarsela meglio, o meno peggio, su circuiti senza curve veloci. Invece a Budapest lo spettacolo è stato tra i più deprimenti”.
Al momento Vasseur è l’unico ad avere degli alibi.
“Eredita una vettura totalmente progettata da Binotto. Potremo giudicarlo tra tra un anno. Ciò che possiamo chiedergli adesso è: ‘Stai cambiando delle cose? Hai la percezione che gli sviluppi possano funzionare?’. In Ferrari sono rimasti indietro sulle competenze, sul fronte delle conoscenze tecnologiche. Tant’è he il curato di campagna, come lo chiamo io, ha chiarito da subito che bisognava investire sulle risorse umane, andandole a cercarle anche altrove. Ora più che mai, credo sia la via più logica ed auspicabile”.
Elkann e Vigna che dicono di questa situazione?
“Non ne ho idea. Però so che quando era vicepresidente della Fiat, John Elkann venne ad una presentazione della Ferrari, era il periodo di Räikkönen e Massa. In diretta tv, molto candidamente disse: ‘I tecnici mi hanno appena spiegato cos’è un alettone’. Non è dileggio. E’ per dire che non ha empatia con la materia. Credo valga lo stesso per Benedetto Vigna. Farei però un salto indietro”.
Prego.
“Luca Cordero di Montezemolo, da giovanissimo, nacque come direttore sportivo per Enzo Ferrari. Conosceva l’argomento, ci teneva. Persino Sergio Marchionne mi diceva: ‘In Canada, una delle poche cose che da italiano all’estero mi rendevano orgoglioso, era la Ferrari. Ecco perché voglio che torni a vincere’. Anche Gianni Agnelli non amava le corse, eppure ci teneva. E ripeteva che non bisognava smettere di lottare. Mi auguro che anche il nipote possa acquisire questa consapevolezza. Per farsi ricordare come il presidente che ha vinto il Mondiale con la Rossa. Il rischio da scongiurare è che la Ferrari diventi una nota a margine, come la Williams”.
Piloti: oltre la frustrazione, c’è la stanchezza.
“Il problema non sono i piloti. Chiunque abbia guidato la Ferrari, negli ultimi 10 anni, non ha avuto a disposizione una macchina per lottare. Leclerc ha vinto 5 Gran Premi in 5 anni. Da ragazzino, nei kart, se la giocava con Verstappen. Hanno lo stesso talento. La frustrazione di Carletto è dovuta anche al fatto che non possa giocarsela con Max. Per me, sta aspettando una risposta dalla pista, da qui a fine anno. Se tutto resta così, il rinnovo non lo firma”.
La suggestione Mercedes ritorna?
“Con una Red Bull Max-centrica, sarebbe l'unica via. Charles vuole capire le mosse di Hamilton. Che di certo, se non dovesse avere una macchina da titolo oltre il 2024, non credo resti in F1 per accontentarsi di arrivare quarto come a Budapest, a 40 secondi dalla Red Bull. Se Lewis non dovesse firmare per un lungo rinnovo, nemmeno Charles firmerà per Ferrari”.
A proposito di Verstappen e Red Bull, questo campionato annoia anche te?
“La RB19 mi ricorda la Williams di Mansell e Patrese o la McLaren di Prost e Senna. C’è troppa differenza tecnica rispetto agli altri. Una gara disputata in questa maniera potrebbe diventare noiosa. Nel 2014, Luca Baldisserri, ex ingegnere di pista di Schumacher, mi disse ‘Ho visto il ragazzino che manderà in pensione Lewis Hamilton. Purtroppo non è nel vivaio di Maranello’. Pensavo mi prendesse in giro. Max avrebbe debuttato circa un anno dopo, minorenne, in Toro Rosso. E’ tra i grandi di sempre. Fa parte della filiera che va da Senna a Schumacher, fino ad Hamilton”.
Che Max di questo passo potrebbe superare, un giorno...
“Da ferrarista, non lo spero (sorriso, ndr). Ad ogni modo, Verstappen non è ossessionato dalla F1. Avendo debuttato prestissimo, non credo avrà una carriera infinita come quella di Lewis o di Alonso”.
Il suo passaggio in Aston Martin ti ha convinto?
“Ho stima infinta per il pilota, mi dispiace si sia buttato via nel tempo. Minardi, agli esordi, mi disse: ‘Ho preso un ragazzo spagnolo che è l’erede di Senna’. Non si sbagliava di tanto. Alonso ha vinto molto meno di quel che avrebbe potuto. Senza cattivi consiglieri e con una testa diversa, avrebbe conquistato lui i 7 titoli di Hamilton. Invece sono 17 anni che non vince un Mondiale e 10 un Gran Premio. E’ un peccato, perché alla sua età è ancora un gran manico. Un pilota per nulla inferiore a Senna o a Schumacher. Ma, a differenza loro, ha un problema relazionale, non ha saputo creare una squadra. In Ferrari, proprio con lui ha avuto inizio il tourbillon degli ingegneri da assumere o da mandar via".
Mick Schumacher lo rivedremo?
“Romanticamente, lo spero. Ma è quasi impossibile. Non è il fenomeno alla Verstappen o Leclerc, migliora imparando. Ha pagato il peso del cognome. La Haas non era competitiva, ma ha perso il posto con Hülkenberg, uno molto più grande di lui. Ha avuto un’opportunità, è andata male”.
Del papà hai detto: “A Spa sembrava un bimbo il giorno di Natale sotto l’albero”.
“Michael Schumacher è nato lì vicino, ad Hürth. In questa pista ci andava da piccolo. Ero lì quando ha debuttato, nell’estate ’91, sulla Jordan, che era una cariola. Ma si qualificò settimo. Il sabato scrissi un pezzo rubando una frase al biografo di Bruce Springsteen: ‘Forse ho visto il futuro della F1'. Non è un caso che Schumi abbia vinto il primo GP della carriera proprio a Spa, con la Benetton, nel ’92”.
Spa 1998, Schumi e Coulthard: la rissa sfiorata è leggenda
“Michael aveva ragione. Non a volerlo menare, perché non bisogna mai trascendere. Ma fu uno scandalo enorme. Sulle Ardenne diluviava. Il doppiato Coulthard, su suggerimento del team, tenne dietro Schumi. Voleva fargli perdere del tempo. Michael si rese conto di essere stato messo in pericolo dal comportamento sleale di uno che considerava suo amico. Tutta la stampa italiana si scagliò contro. Solo io lo difesi dicendo che fosse caduto in una trappola, che lo avessero fregato. Oggi tutti lo ammettono. Coulthard compreso”.
Per scongiurare il peggio, l’intervento di Jean Todt fu fisico.
“Dopo tanti successi in Peugeot, lo scelse Montezemolo, su indicazione di Bernie Ecclestone. Todt era una persona ispida, ostile al di fuori della sua cerchia, diffidente nei confronti dei media. Lo avevo ribattezzato il pinguino. Certo, aveva le spalle coperte dal Montezemolo. Però era il più bravo di tutti. Assieme a Mauro Forghieri, il più grande team principal della storia della Ferrari”.
A sedare gli animi c’era anche Stefano Domenicali.
“Ha perso 3 Mondiali Piloti per 7 punti complessivi. Prova ad immaginare come sarebbe cambiata la storia di Stefano se, come successore di Todt, quei Mondiali li avesse vinti. Credo che oggi sarebbe il presidente della Ferrari. Una fortuna per la Rossa. Peccato non sia andata così. Diede le dimissioni da sconfitto. In realtà, da quando non c’è lui, la Ferrari non ha più lottato per il titolo. Anzi, oggi perde il Mondiale già alla quarta gara. Credo sia un rammarico anche per lui, questo”.
Enzo Ferrari, i segreti, i sogni.
“Nell’87, la Ferrari tornò a vincere con Berger, a Suzuka, dopo 2 anni di digiuno. Andai a vedere la gara a Maranello, in tv. L’indomani scrissi che, nella nebbia di Maranello, mi era parso di vedere un vecchio che ballava felice alle luci dell’alba. E che quel vecchio fosse Enzo Ferrari. Solo anni dopo ho scoperto che Enzo lesse quelle righe e si commosse. Al suo braccio destro, Franco Gozzi, disse: ‘Voglio che Leo Turrini vinca la prossima edizione del Premio Dino Ferrari’. Enzo si ammalò e, nell’estate’88, morì. Il premio non venne assegnato più. Nel ’93, Gozzi riattivò il premio, e scrisse una pagina meravigliosa su Autosprint, dove spiegava che sarebbe stato assegnato a me, per decisione di Enzo. E’ stata l’ultima manifestazione di un affetto che Enzo ha avuto per me sin da quando ero ragazzo. Forse perché quello di fare il giornalista era anche il suo sogno”.
Il debito della carriera nei suoi confronti.
“Avevo 22 anni. In pieno silenzio stampa, Ferrari accettò di parlare solo con me. Gilles Villeneuve, in uno dei suoi tanti incidenti, aveva fatto scoppiare una polemica. Nella mia intervista, lo difendeva. Fu l’ultima volta che Enzo parlò in difesa di Gilles ancora vivo”.
Dicevamo all’inizio di Senna: eravate coetanei, e ormai pure amici.
“Sul volo Parigi-San Paolo, portai a casa io la sua bara. Di fianco, avevo la salma avvolta nella bandiera brasiliana. Il comandante disse: ‘Per legge, le salme non possono stare in stiva. Ma quella di Senna sì. Farà quest’ultimo viaggio come se fosse ancora con noi’. Ecco, io non amo guidare in modo spericolato. Ma se fossi stato un pilota, avrei voluto essere Senna”.