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Roberto Mancini rovinato da un decreto: perché per l'Italia si mette malissimo

Daniele Dell'Orco
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 Senza che siano esplosi ancora grandi “mortaretti” di mercato, in serie A sono stati conclusi una settantina di affari. Il 55% dei nuovi volti comparsi nei ritiri delle singole squadre (eccezion fatta per i rientri dai prestiti che in molti casi sono destinati a ripartire) non è di nazionalità italiana. Alcuni sono profili che militano nel nostro campionato da tempo e cambiano semplicemente casacca, altri invece arrivano dall’estero approfittando delle agevolazioni fiscali garantite dal Decreto Crescita, una norma ideata dal governo Conte II che ha conferito ai club la possibilità di accedere ad una tassazione agevolata sugli stipendi milionari dei calciatori (dal 45 al 25%) a patto che non siano stati residenti in Italia nei due anni precedenti e si impegnino a farlo nei due successivi.

 

 


La norma ha da un lato permesso al massimo campionato italiano di accogliere calciatori altrimenti inaccessibili, dall’altro ha accentuato ancor di più la tendenza già dilagante all’esotismo calcistico. A riempirsi di stranieri, per giunta, non sono state solo le prime squadre, bensì, in misura ancora maggiore, i vivai (il 30% delle rose Primavera è composto da stranieri). Tanto che nel maggio dello scorso anno il decreto in ambito sportivo ha subito una prima modifica e non si potrà più applicare per giocatori di età inferiore ai 20 anni e con uno stipendio inferiore al milione di euro.

 

 

 

AMMISSIONE IMPLICITA

Un emendamento, non certo risolutivo, che è quantomeno l’ammissione implicita di un problema. Comunque non l’unico. Un altro esempio è rappresentato dalle burocrazie ed è stato nel corso del tempo ammesso dagli stessi presidenti dei club di serie A. Acquistare un giocatore all’estero, infatti, non comporta l’obbligo di depositare fideiussioni bancarie né garanzie particolari, aspetto invece necessario per le compravendite tra club italiani e per dimostrare di avere uno stato patrimoniale compatibile con l’iscrizione al campionato. Ciò consente alle società di concludere affari (quelli con cifre di second’ordine) con una certa tranquillità perché, nel caso dovesse esserci qualche intoppo col saldo delle rate, si telefona al club straniero, si ridiscute la scadenza e torna tutto ok.

 

 

 

BOOMERANG

Infine, ci sono i boomerang rappresentati dalle norme “protezionistiche”. I vincoli nella composizione della rosa studiati proprio per valorizzare calciatori italiani e prodotti dei vivai, finiscono dritti nelle braccia della legge della domanda e dell’offerta. Attualmente, il numero degli italiani da avere in rosa è di 4+4 (cresciuti nel proprio vivaio e in quelli di altri club italiani), che peraltro si cerca da tempo di passare a 5+5. Ciò comporta che i costi dei cartellini di profili italiani conformi alle normative, essendo merce rara, lievitino sempre di più. Non necessariamente per via del talento. Basti pensare alle difficoltà manifestate dal ct azzurro Mancini che per la sua Nazionale può pescare tra una settantina di italiani selezionabili che giocano con una certa regolarità in serie A. Gli altri magari occupano lo slot giusto tra i 25 in rosa ma il campo lo vedono col cannocchiale. Cercare di sottrarsi a questo vortice è ormai una singola scelta etica dei singoli club. Empoli, Atalanta, Sassuolo e Monza hanno fino ad ora tesserato 4 italiani ciascuno. Al contrario, Juve, Lazio, Milan e Roma solo stranieri. L’Inter, con Frattesi tra i vari Bisseck, Cuadrado e Thuram, ha salvato il salvabile. Le possibilità che la tendenza possa invertirsi nelle prossime settimane sono pressoché nulle. 

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