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Inter, "quando l'ha persa Simone Inzaghi": l'errore fatale contro il City

Claudio Savelli
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La finale di Istanbul è una partita ad alto tasso tattico anche se in campo c'è una squadra allenata da Pep Guardiola. Di solito, il tecnico catalano vuole che le sue creature si esprimano come nella quotidianità, che interpretino le gare decisive come le altre, che facciano valere la loro manifesta superiorità a prescindere dal contesto. È un pregio ma anche una condanna perché denota qualche grammo di sfrontatezza di troppo.

 

 

 

Nella finale di due anni fa, il Manchester City pagò questo snobismo con la sconfitta e fu il Chelsea, una squadra molto simile all'Inter nelle idee di gioco e nello sfavore del pronostico, a impartirla. Si vede che Guardiola ha imparato la lezione visto che a Istanbul il City parte piano, studia l'Inter, dimostra di nutrire rispetto e solo in un secondo momento alza i ritmi, senza però mai sbilanciarsi.

 

 

 

Nel momento in cui Pep accetta il ring che ogni finale impone, vince la Champions. Inzaghi lo asseconda, visto che è quello in cui l'Inter ha giocato finora. I nerazzurri sono consapevoli di dover difendere senza subire, di doversi proteggere senza andare in affanno. Ci vuole ordine, concentrazione e serenità, quella che manca in alcuni momenti del primo tempo: alcuni accenni di insofferenza di Barella sono eccessivi, ma di contro servono anche a tenere viva la squadra. Va bene così, quindi.

 

 

 

Il problema è la ricerca dei sentieri verso le punte, occultati dal conglomerato centrale di Guardiola composto da tre centrali difensivi e due mediani dal fisico possente, altra caratteristica che il tecnico catalano riteneva secondaria fino a pochi mesi fa. L'Inter, che piccola non è, patisce l'impatto dei Citizens: la conferma della completezza del City.

 

 

 

In effetti la sfida alla lavagnetta era favorevole al City, per gli incastri creati dal 3-2-4-1 di Guardiola contro il 3-5-2 di Inzaghi. I quattro trequartisti azzurri obbligano i terzi di difesa nerazzurri Bastoni e Darmian e i quinti Dimarco e Dumfries a stare bassi, aggiungendo così metri da coprire in fase di ripartenza.

 

 

 

Di solito l'Inter riesce a lasciarne alto almeno uno, in modo da accorciare il campo di fronte a sé e avere uno spigolo in più. Stavolta è impossibile: bravo Guardiola a intuirlo, meno Inzaghi a prendere qualche contromisura - per tacere dell'insensato doppio cambio nel finale. In un simile contesto servirebbe più volume dalle mezzali, Barella e Calhanoglu, che tendono a rimanere sullo sfondo della gara, più attenti a capire dove si posiziona Stones che a farsi inseguire.

Nella ripresa aumentano gli errori da entrambi le parti. Il City inizia a sentire la pressione per non averla sbloccata, l'Inter arriva davanti alla porta di Ederson con troppa foga perché è consapevole di aver poche occasioni. La differenza piomba nel momento in cui la squadra di Inzaghi pensa di giocarsela alla pari, dopo la famosa ora di gioco che bisognava tenere sul pareggio bianco: Bastoni sbaglia l'uscita, l'azione si sviluppa, Rodri segna. L'Inter la perde quando pecca della stessa hubris che aveva condannato il City. Uno dei classici contrappassi del calcio. 

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