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Simone Inzaghi e Lautaro, occhio a questa statistica: perché Guardiola trema

Claudio Savelli
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Sia il Manchester City sia l’Inter sanno come si vincono le finali. La differenza più grande è che la squadra di Guardiola sa come se ne perde una di Champions: ben 12 giocatori della rosa attuale erano presenti per l’ultimo atto dell’edizione 2020/21 contro il Chelsea (0-1). Per tutti i nerazzurri è una prima volta. Prima di quest’anno, Onana e Dzeko ("Non ho ancora deciso se lui o Lukaku dall’inizio", ammette mister Inzaghi) erano arrivati al massimo in semifinale con l’Ajax e la Roma; Gosens, Darmian, Lukaku, Mkhitaryan e Correa si erano fermati ai quarti; gli altri, compreso "il re di Coppa" Inzaghi, agli ottavi. Le eccezioni nel gruppo di lavoro sono Marotta, che ne ha vissute due con la Juventus, e Ausilio, presente nel 2010 in qualità di direttore del settore giovanile.

L’ultimo club a giocare una finale di Champions nelle stesse condizioni dell’Inter è stato il Borussia Dortmund nel 2013. Anche in quel caso, allenatore compreso. Finì 2-1 per il Bayern Monaco. Jurgen Klopp si rifarà al terzo tentativo alla guida del Liverpool contro il Tottenham nel 2019, dopo aver perso anche l’anno prima contro il Real Madrid. Tra i gialloneri che all’epoca esordirono nell’evento c’era Gundogan, che ha deciso la finale di FA Cup contro il Manchester United con una doppietta ed è uno dei giocatori con più dimestichezza nelle finali.

ECCEZIONE ALLA REGOLA
Il tedesco dimostra che l’esperienza in queste gare conta, ma l’Inter, consapevole di «affrontare la squadra più forte del mondo», Inzaghi dixit, spera di diventare l’eccezione alla regola sfruttando un’altra caratteristica dei suoi due leader: non avranno disputato la finale di Champions ma le altre sì e sono quasi sempre state un successo. Simone e Lautaro, allenatore e capitano (in caso di panchina per Brozovic), non falliscono una finale da anni. Nello specifico, il mister dal 2017, quando cadde in Coppa Italia alla guida della Lazio contro la Juventus, l’attaccante dal 2020, quando l’Inter di Conte si schiantò contro il Siviglia in fondo all’Europa League. Delle ultime otto finali disputate, entrambi ne hanno vinte sette (striscia aperta) di cui quattro (le ultime due Supercoppa e Coppa Italia) insieme. Se Inzaghi allarga la sua tradizione agli scontri ad eliminazione diretta, 13 su 14 passati in nerazzurro (contro il Liverpool l’unica delusione), Lautaro dà lustro alla statistica con la finale di Coppa America 2021 (1-0 al Brasile), la Supercoppa tra nazionali (Argentina-Italia 3-0) e, soprattutto, quella dei Mondiali in Qatar.

In queste ultime otto gare, l’argentino ha timbrato cinque volte. Nelle ultime due occasioni contro il Milan e la Fiorentina, ha siglato tre reti. Insomma, l’Inter deve controllare Haaland (che vanta una doppietta nella finale di Coppa di Germania 2021, ma non ha segnato contro lo United tre giorni fa) quanto il City deve avere un occhio di riguardo per Lautaro. Una delle più famose frasi motivazionali recita che le finali non si giocano ma si vincono. Se parliamo di Champions, anche il City è poco abituato: nessuno della rosa di Pep Guardiola l’ha infatti mai alzata, a parte lo stesso Guardiola (due volte). In sostanza, delle due compagini che scenderanno in campo ad Istanbul, il tecnico catalano è l’unico ad aver già assaporato il grande successo.

Anche il Manchester avrà un briciolo di paura. Dimarco inaugura la sfida di nervi citando Mourinho («Per loro è un’ossessione, per noi è un sogno»), sapendo di avere pochi compagni svezzati dal successo europeo. Solo Darmian e Mkhitaryan vantano un trofeo internazionale per club (l’Europa League con lo United per entrambi e una Conference con la Roma per l’armeno), mentre Bastoni, Barella e Acerbi sfoggiano l’Europeo con l’Italia e una striscia aperta di cinque finali vinte iniziata a Wembley nel 2021. Ma quella azzurra è un’altra maglia e un’altra storia. Sabato si scrive quella nerazzurra: chi impugnerà la penna?

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