Inter, Inzaghi fa tremare Guardiola: chi è tornato nel momento decisivo
Nell’annata in cui nessuno, a parte il Napoli, ha potuto contare su un grande attaccante, l’Inter ne aveva due: Lautaro e Lukaku. Loro che aprono la sfida all’Atalanta con un duetto contiano dopo appena trenta secondi. Loro che, prima di adesso, non ci sono mai stati. Non insieme, con uno che potenzia l’altro. Lautaro sta chiudendo la miglior stagione della sua carriera perché è riuscito nell’impresa di non infortunarsi mai. È stato letteralmente usurato. Quella con la Dea è la sua 55esima presenza stagionale su altrettante gare, non ne ha saltata nemmeno una. Eppure ha reso oltre le abitudini in termini di gol (28) e, soprattutto, di continuità di prestazioni. Anche quando non ha segnato, è sempre stato utile alla squadra, dentro la parte e la gara, mai preoccupato di sé e del proprio nome sul tabellino.
È l’unico ad essersi avvicinato ad Osimhen anche in termini di incidenza nella sua squadra, solo che ha avuto meno supporto da quest’ultima e questo ha fatto la differenza nella classifica. I calcoli dell’Inter, quindi, erano corretti. Se questo fosse stato il Lukaku di stagione, l’abbinata al miglior Lautaro di sempre sarebbe bastata per lo scudetto. Sarebbe bastato anche un Romelu dignitoso, meno dirompente rispetto all’anno dello scudetto, perché il Toro è cresciuto e avrebbe potuto compensare. In più Dzeko e Correa avrebbero consentito un ricambio valido. Il bosniaco rende di più quando deve giocare meno, l’argentino forse avrebbe potuto sentire meno pressione e non sprecare tutte le occasioni avute. Dzeko è forse l’unico scontento nel vedere una Lula così piena, in vista del ballottaggio per il posto da titolare nella finale di Champions. Contro la Dea, Lautaro e Lukaku si cercano come ai vecchi tempi e, grande differenza, rispetto alle altre occasioni di questa stagione si trovano a memoria, senza fatica.
L'Inter blinda la Champions: Lukaku-Lautaro show, stesa l'Atalanta
Nessuno ha avuto un contributo decisivo dagli attaccanti. Non la Juventus da Vlahovic, non la Roma da Abraham e Belotti, incredibilmente ancora a zero reti in campionato, non il Milan da Giroud e Origi, non la Lazio da Immobile e nemmeno la Fiorentina da Jovic e Cabral. Qualcosina è arrivato, sì, ma onestamente poco per le punte delle grandi squadre. Anche l’Atalanta non ha ottenuto nulla da Duvan Zapata e Muriel, trovando in Hojlund un talento puro ma ancora grezzo, soprattutto in quanto a concretezza e continuità. La diversità dell’Inter è l’assetto. Rispetto alle altre, gioca con due punte vere, fisse e vicine. È una caratteristica unica nel calcio di massimo livello in serie A e anche in Europa, tant’è che può diventare una variabile fondamentale anche contro il Manchester City, abituato ad affrontare un solo attaccante. Inzaghi potrà rimuginare fino all’ultimo su una decisione che pare già presa, ovvero Dzeko con Lautaro. Lukaku è pronto e non se lo aspetta, una sorpresa potrebbe galvanizzarlo oltre misura. Intanto, con la Lula che colleziona assist e gol, l’Inter blinda un posto in Champions. L’avesse avuta da inizio anno, sarebbe arrivato molto prima della penultima giornata.
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