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Juve, Vittorio Feltri contro il castigo bianconero: danneggia il calcio

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Vittorio Feltri
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Confesso: mi piace lo sport, in particolare seguo il calcio anche se, data l’età, non sono in grado di esercitarlo. Lo vedo in tv e non frequento gli stadi. Aggiungo di non essere juventino. Però mi indigna l’ingiustizia sofferta dalla squadra di Agnelli. Prima la castigano togliendole 15 punti dalla classifica maturata durante il campionato in corso. Poi glieli restituiscono. Infine gliene rubano altri dieci. E adesso i bianconeri sono costretti a vivacchiare in mezzo alla graduatoria senza prospettive.

 

 

Il lettore obietterà che se gli amministratori della società hanno commesso delle scorrettezze sulla tenuta della contabilità, è giusto che paghino il fio. Ma i giocatori che c’entrano con il comportamento del presidente e dei suoi più stretti collaboratori? Terzini, centrocampisti e attaccanti i punti se li sono guadagnati sul campo, segnando gol e difendendo la loro porta con bravura e coraggio. Quindi loro sono innocenti e non vanno puniti. Confondere le prestazioni sportive con quelle dei dirigenti che non sudano, ma depongono le terga su poltrone, è un insulto alla logica, una offesa irreparabile. Siamo di fronte a un furto e non a un atto di giustizia. Questo lo capiscono tutti tranne i soloni che si occupano di calcio in salotto e non calcano l’erba degli stadi, l’unico luogo dove si acquisiscono meriti e demeriti in grado di influenzare la graduatoria.


 Se lasciamo il calcio tra le braccia dei capetti anziché tra i piedi degli atleti, è ovvio che a perdere sarà il calcio, ovvero lo sport più seguito in tutto il mondo. Il mio timore è che l’episodio in questione alla fine danneggi gli appassionati del pallone che non vanno a sbirciare nei libri contabili delle squadre, ma seguono le partite e tengono conto dei risultati ottenuti sul terreno di gioco e nulla più. Il discorso non è improntato a interesse personale, ma cerca di tutelare tutti gli appassionati di questa esaltante disciplina. Non sono un tecnico anche se da militare sono stato mandato al Car degli atleti di Orvieto, dove erano presenti numerosi calciatori di serie A e serie B. 

 

 


I quali la sera dopo le 18 scendevano in campo e disputavano una partitella per tenersi allenati. Sennonché quando non riuscivano a comporre due squadre di 11 giocatori ciascuna, e magari ne mancava uno, chiedevano a me di partecipare alla tenzone. Io ero un chiodo, ma mi divertivo un casino. Il mio uomo di riferimento era Gianni Rivera, il più bravo d’Italia, il quale mi forniva passaggi invitanti. In un paio di occasioni egli mi servì degli assist che anche un cretino avrebbe sfruttato per segnare. Passano anni e anni, Rivera diventa onorevole e io come giornalista del Corriere gli ho dato una mano. Poi trascorre altro tempo, e l’ex campione in un libro dice di ricordarsi di me e aggiunge che giocavo bene. Non è vero, ero totalmente incapace. Ma lo ringrazio lo stesso. Il calcio non è la vita, ma è molto di più.

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