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Inter, Marcello Lippi: "Come può finire la Champions", la profezia

Leonardo Iannacci
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Gianni Agnelli disse di lui: «È il più bel prodotto di Viareggio dopo Stefania Sandrelli». Marcello Lippi ha sempre sorriso quando si cita quell’aforisma dell’Avvocato e, a 75 anni, l’allenatore campione di tutto guarda il mare di Viareggio e ripensa alla sua storia iniziata su queste spiagge («Mio cugino dirigeva la Bussola e gli anni ’60 qui in Versilia li ho nel cuore»), poi proseguita da eternauta vincente del pallone.

Lippi, davvero si è ritirato dal mondo che ha amato di più?
«Assolutamente sì. Faccio il nonno, esco con la barca e mi godo i ricordi. Il calcio lo seguo in tv».

Che impressione le ha lasciato l’Euroderby Milan-Inter atto primo?
«Troppa Inter. È stata una prima partita intensa ma disequilibrata nella quale il Milan ha sofferto molto l’assenza di Leao. Non pensavo fino a quel punto, per 45 minuti l’Inter è stata incontenibile».

Qualificazione per la finale di Istanbul già decisa dopo quel 2-0 secco?
«Ora ai rossoneri serve un’impresa, complicatissima. Uno spiraglio di speranza, solo quello, glielo lascio».

Se l’Inter va in finale è opinione generalizzata che non abbia scampo contro City o Real.
«No, con una squadra forte e, soprattutto, compatta come è ora quella di Inzaghi, tutto è possibile. Grazie alla condizione mostrata mercoledì sera, tutto sarebbe possibile».

Il jolly dell’Inter?
«Non tra i giocatori, la squadra tutta mi è sembrata presente per il compito assegnato. Un plauso speciale va a Inzaghi, ha fatto un buon lavoro sia dal punto tattico preparando bene la sfida sia sul versante motivazionale».

Un mese fa lo davano spacciato. E invece?
«Sono nel calcio da 60 anni e so bene come in Italia sia tipico impallinare qualcuno dopo due-tre partite perse male. Per poi ravvedersi subito».

La sua Juventus sta vivendo un’annata da tregenda, non le concedono neppure i rigori sacrosanti, chiari come il sole. Contro il Siviglia è andata così. Come mai?
«Esistono stagioni nelle quali non te ne va bene una. Ma se parliamo di campionato la Juve è seconda in classifica. La delusione maggiore è venuta dalla Champions, e io so bene cosa significhi la coppa dalle grandi orecchie per la Juve, ne ho vinta una e perse due».

Dopo l’1-1 sofferto contro il Siviglia, può vincere il ritorno e centrare almeno la finale di Europa League?
«Assolutamente sì. Ha gli uomini giusti, la mentalità, la personalità per farlo. Tutti indicano in Vlahovic il giocatore più deludente ma non è così: si soffre molto quando si viene tormentati dalla pubalgia. E poi essere centravanti della Juventus è sempre complicato».

La Roma ha realizzato un mezzo miracolo con una mezza squadra. Mourinho non finisce mai di stupire, vero?
«Aveva 6-7 titolari fuori ma, per i giocatori che ha reclutato integri, Mou ha disegnato una partita di grande concretezza. Un leader è stato Cristante centrale difensivo. Poi con Bove ha pescato il jolly vincente per l’1-0, risultato che può difendere bene a Leverkusen».

E la Fiorentina scivolata in casa contro gli svizzeri del Basilea?
«È solo il primo tempo della sfida andata-ritorno. Sono certo che, a Basilea, può andare a vincere. Quest’anno la Fiorentina ha già dimostrato di rendere meglio in trasferta».

La nazionale azzurra che nel cuor le sta tornerà un giorno quella di Berlino 2006? O, più semplicemente, quella di Londra 2021?
«È un discorso complicato, oggi giocano 9-10 stranieri per squadra e Mancini trova ovvie difficoltà nel pescare italiani bravi nel campionato. Difatti guarda a tornei esteri, non può farne a meno. È anche un discorso generazionale: in quel Mondiale avevo in squadra fuoriclasse come Totti e Del Piero e tanti leader carismatici, grandi uomini. Per questo abbiamo vinto la coppa».

A proposito dei suoi granatieri azzurri, Grosso e Gilardino hanno portato in serie A Frosinone e Genoa. E allenano anche Gattuso, Pippo Inzaghi, Oddo, Pirlo, Cannavaro, De Rossi. Tutti figli suoi dal punto di vista tattico?
«Questo non lo so. Sono loro a doverlo dire anche se qualcosina di quella gestione azzurra spero l’abbiano assorbito. Alle loro squadre hanno trasmesso una grande mentalità vincente ma i meriti di questi risultati ottenuti a Frosinone e a Genova sono soltanto di Fabio e di Alberto».

Quante volte ripensa alla notte dell’11 luglio 2006?
«Spesso. Mi rivedo solo, stremato, nella mia camera dell’albergo dove abbiamo passato il ritiro di quella fantastica avventura. È ormai l'alba e sono concentrato sulla registrazione della finale contro la Francia. Fumo un sigaro e Grosso segna il quinto rigore. È la felicità». Nostalgia canaglia.

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