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Simone Inzaghi? "Per un mese": come si gioca tutto dopo il capolavoro

Claudio Savelli
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Non c’è partita perché Simone Inzaghi l’ha vinta prima che iniziasse. Il dubbio e il rammarico è che questo suo piccolo e parziale capolavoro diventi anche il suo lascito all’Inter. Perché nel giro di poche settimane, il mister ha ribaltato la considerazione dei tifosi e della critica passando da superfluo a indispensabile, da scarto a perfetto, da virtualmente esonerato a rimpianto. 

Il tutto in silenzio, senza mai alzare i toni: uno dei suoi più grandi difetti in queste nottate si trasforma in un pregio. Meglio trasformarlo in un promemoria per il futuro, ché alle volte serve avere più pazienza ed è meglio evitare giudizi a stagione in corso. Il capolavoro di Inzaghi non è la gara in sé ma l’avvicinamento ad essa. Ha distribuito i minuti ai giocatori, ha recuperato chi si era perso come Dumfries, Barella, Dzeko e Lautaro, ha portato al livello dei titolari Brozovic e Lukaku, rendendo finalmente utile la panchina, ha intuito che a Mkhitaryan non si sarebbe mai potuto né dovuto rinunciare, con buona pace della carta d’identità, e che Darmian avrebbe potuto esaltarsi come terzo di difesa. 

 

Si è disinteressato al detto secondo cui la Champions dipende dai dettagli: non è così, a essere decisivo è lo stato di forma dei giocatori nel momento in cui si disputano le partite ad eliminazione diretta. E per forma non si intende solo quella fisica ma anche e soprattutto quella mentale. In questo senso, l’Inter ora è all'apice. Inzaghi ce l'ha portata partendo da uno dei più bassi della sua gestione. Ora deve fare ciò che non è riuscito a fare finora: tenere la squadra su questo livello per un mese. Un mese, già.

 

già.

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