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Serie A, vietato illudersi: la verità sul "rinascimento" italiano in Europa

Claudio Savelli
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Il piccolo e parziale - è bene ricordarlo per non illudersi, come al solito - rinascimento italiano in Europa è causato da più fattori. Il più rilevante è un cambio di approccio. Da impegno fastidioso, le competizioni infrasettimanali si sono trasformate in un’occasione. L’Inter e il Milan che rischiano in campionato possono conquistare la prossima Champions vincendola, e vedono la cosa meno faticosa visto che ora bastano tre partite di cui due tra di loro; la Juventus con la vicenda della penalizzazione ha trovato nell’Europa League una via alternativa per la Champions; la Roma, prima dell’ascesa in serie A, vedeva più semplice la vittoria continentale (anche per via di Mourinho) che la scalata interna; la Fiorentina, che ha faticato per metà stagione, ha pensato che la Conference fosse il miglior modo per salire di livello, detto che un trofeo per una città reduce da alcune lotte per la salvezza male non fa.

 

 

 

L’unica assente da questo banchetto italiano è la Lazio, non a caso la sola con un allenatore, Sarri, che si è lamentato dell’impegno europeo. Gli altri allenatori hanno smesso di lamentarsi del giovedì d’Europa League, dei pochi giorni per prepararsi alle sfide o dei troppi infortuni per lo stress fisico imposto ai giocatori e magicamente arrivano in fondo alle coppe. La pandemia e il Mondiale hanno giocato un ruolo fondamentale in questo cambio di mentalità. La prima ha compresso le gare in pochi mesi, il secondo ha diviso la stagione, allungandola. I giocatori si sono abituati a giocare di più e a gestirsi. Questo ha portato i ritmi ad abbassarsi leggermente, le squadre cibernetiche si sono normalizzate, e le italiane, che pure nel frattempo si sono europeizzate, sono rientrate quando l’habitat si è fatto più confortevole. A tutto questo si è aggiunta la Conference, terza competizione in cui le nostre formazioni partono favorite. La Fiorentina conferma che ogni partita va affrontata con la stessa intensità mentale, altrimenti sfugge di mano e anche un Lech Poznan qualunque recupera i tre gol di svantaggio che aveva accumulato all’andata. Nel finale, la squadra di Italiano sistema la situazione e, oltre a conquistare la semifinale, impara che non esistono favoriti.

 

 

 

La Roma e la Juventus si guadagnano le semifinali d’Europa League contro il Leverkusen e il mistico Siviglia che strapazza lo United, dimostrando che il calcio europeo non è per forza offensivo. Costruiscono pochissime azioni pulite, sul fronte offensivo sono due squadre elementari che dipendono dalle giocate di Dybala o dai gol extra di Rabiot, però si fanno bastare poco per vincere le partite. In più hanno un’incredibile capacità di mostrarsi impassibili. Non soffrono. Tutte le loro rivali riescono ad attaccare ma nessuna riesce a metterle alle corde. Cinque semifinaliste su dodici sono italiane e tra loro sono diverse. Non esiste più una scuola ma è evidente la comune capacità di adattarsi. Una di sicuro sarà in finale, potenzialmente quattro. Di rinascimento si può parlare, ma facciamolo sottovoce per non illuderci che la serie A sia di nuovo l’eldorado.

 

 

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