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Spalletti, Pioli e Inzaghi? La differenza tra chi è allenatore e chi è un gestore

Claudio Savelli
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Viviamo un’epoca in cui gli allenatori dicono di non essere importanti nelle sorti della squadra. È tutto un minimizzare il proprio lavoro per esaltare quello dei giocatori. Una bugia. In questo calcio in cui gli spartiti sono complessi, la conoscenza è diffusa e le competenze sono ovunque, i tecnici sono più che mai decisivi. Si prenda questa strana serie A: le squadre sono così imperfette che vanno sistemate quasi ogni settimana. L’unico che non lo fa? Inzaghi. Infatti l’Inter è in crisi. Non l’ha toccata rispetto all’anno scorso né è mai intervenuto quest’anno di fronte a meccanismi arrugginiti e risultati storti. Sempre il solito 3-5-2, mai un guizzo, mai un tentativo, mai una botta di vita. L’Inter è apatica, scolastica, annoiata come chi la allena.

Qui, per dire, c’è una grande differenza negli allenatori delle milanesi: Pioli ha modificato il Milan non appena lo ha visto in calo. E poi lo ha ribaltato altre tre volte, fino a tornare contro il Napoli al modulo originale e costruire una goleada da sogno al Maradona che può ribaltare l’umore e il finale di stagione. La tattica non è tutto ma è lo strumento più potente a disposizione degli allenatori per sistemare una squadra. Più delle parole, più della preparazione atletica, più di tutto. Se una squadra sta bene in campo, sei a metà dell’opera. Pioli ha applicato la difesa a tre in una formazione che ha vinto lo scudetto a quattro. Ha rischiato? No, considerando che stava perdendo credibilità, presa, partite. È andata bene per uscire dalla crisi ma, quando in crisi ci stava per tornare, ha sfruttato la sosta per rispolverare il vecchio sistema, come a dire al gruppo che il peggio era alle spalle, che si poteva tornare a divertirsi. A Napoli, il Milan si è divertito come un bambino uscito dalla punizione.

 



Questi sono i messaggi a cui i calciatori sono attenti. Non i discorsi motivazionali. Che poi anche la comunicazione fa la differenza. Inzaghi non ha comunicato il cambio di obiettivo dell’Inter, Pioli invece ha chiaramente dichiarato l’importanza di arrivare tra le prime quattro. In questo, Mourinho resta un maestro: racconta da mesi la stagione della Roma come una perenne lotta contro società e rose più forti. Così l’essere lì, a pari con l’Inter, è tutto di guadagnato. Quando trova una delle migliori partite stagionali? Quando le assenze obbligano Mou a cambiare modulo, passando al 4-2-3-1. Sarri è un’eccezione per cui il sistema di gioco non è modificabile perché ci si allena per renderlo perfetto, utopia che sorregge il suo metodo. Gli altri fanno e disfano senza troppi problemi: Spalletti ha svoltato a inizio anno quando ha battezzato il 4-3-3 e la batosta con il Milan servirà per mettere in discussione qualcosa, pratica sempre sana; Gasperini quando ha abbandonato il 3-4-1-2 per il 3-4-3; Allegri quando ha arrangiato la Juve nel 3-5-2. Quest’ultimo, poi, ha chiaramente modificato i discorsi tra l’immediato post-sentenza e le settimane successive, dal «salviamoci» al «puntiamo all’Europa». Come cambiano le cose quando c’è un allenatore che vuole cambiarle.

 

 

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