Ferrari, Ralf Schumacher: "Di chi è la colpa", il nome choc
Se la Rossa non batte mai chiodo nel gran ballo della Formula 1, l’unica soluzione è un restyling stile vecchia attrice hollywoodiana per cercare di non peggiorare una situazione che, dopo due soli gran premi, appare già compromessa. Da giorni, a Maranello e dintorni, dopo la diaspora e i licenziamenti di tecnici susseguenti ai continui flop in pista, si parlava di apportare profonde modifiche alla Ferrari SF-23 che ha raccolto, in Bahrein e a Jeddah, figure barbine. Si narra del presidente John Elkann imbestialito, dell’amministratore delegato Vigna attonito e silente, del team manager Fred Vasseur sbalordito dalla pochezza di una monoposto diventata la quarta forza del campionato dietro Red Bull, Aston Martin e Mercedes. Domenica si corre in Australia, sul circuito di Melbourne. Poi, dopo tre settimane di stop, la Formula 1 farà tappa a Baku e a Miami. In questo periodo è previsto non solo un aggiornamento ma uno stravolgimento del fallimentare progetto SF-23. Le Rosse verranno modificate nel posteriore per ottimizzare e rendere meno “mangiagomme” l’intera aerodinamica.
CONTINUE CRITICHE
In attesa di segnali positivi, si registrano continue critiche visto che Ferrari è sinonimo di eccellenza tecnologica, concetto che quando arriva a 40-50 secondi dai rivali è un controsenso. Ralf Schumacher, il fratello del grande Michael, l’ha sparata pesante sulle cause che hanno trascinato Maranello in questo abisso: «La Ferrari sta ancora pagando le conseguenze di una precisa politica portata avanti da Sergio Marchionne, scomparso ormai cinque anni fama numero 1 a Maranello tra il 2014 e il 2018. Il motore della SF-23 è competitivo ma i problemi sono l’affidabilità, le strategie e gli errori dei piloti. La Ferrari sta pagando la vecchia decisione di Marchionne che creò, nel 2016, una squadra tutta italiana. Ciò che conta non è la nazionalità, ma la qualità. Binotto era troppo legato alla Ferrari per prendere le decisioni giuste, che a volte sono spiacevoli».
Sotto accusa la “strategia orizzontale” di Marchionne che volle una pletora di tecnici tutti italiani e, soprattutto, pagati il giusto. Un box senza tante stelle (i validi Aldo Costa e James Allison vennero allontanati perché ingombranti per andare a fare la fortuna delle Mercedes di Hamilton e Rosberg) ma con tanti soldatini in rosso che dovevano ubbidire agli ordini dello stesso Marchionne, di Arrivabene prima e di Binotto poi. Una struttura nazionalista ma livellata in basso che si è rivelata fallimentare. Quando il fratello di Ralf, Michael, vinse cinque mondiali di fila, la squadra era piena zeppa di tecnici di varie nazionalità, reclutati da Montezemolo, ben pagati e agli ordini del generale Todt. Sempre Ralf: «Mio fratello portò una competizione incredibile. Era lì come pilota, ma c’erano Jean Todt come team principal, Ross Brawn come direttore sportivo e Rory Bryne aerodinamico. Avevano la libertà di cui c’era bisogno ma anche l’organizzazione militaresca che serve in Formula 1».