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Juve, disastro-Var: che cosa svelano (davvero) le immagini

Claudio Savelli
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Prima hanno dato i numeri per vantarsi, ora danno i numeri e basta. La Var Room di Lissone, presunto fiore all’occhiello del calcio italiano, conta: 12 “stanze dei bottoni” denominate VOR (Video Operation Room), una megastanza per il supervisore Var con 10 megaschermi e 2 touchscreen, 17 campi collegati, 250 chilometri di cavi, 30 persone impiegate durante la settimana, 80 persone nei picchi del weekend. A tutto questo bendidìo tecnologico fanno fronte zero decisioni pesanti prese ultimamente. Da un lato ci sono i numeroni che impressionano ma non contano, dall’altro l’unico che conta e che dovrebbe impressionare.

Lo hanno chiamato International Broadcast Centre per dargli un tono internazionale e perché non è solo un centro unico del Var ma una casa di produzione: la Lega lo usa per creare contenuti per l’Italia e per l’estero tra cui 11 format differenti di highlights. Dunque, se su quegli schermi e davanti agli occhi di un centinaio di persone passano migliaia di immagini, è possibile che manchino proprio quelle che servono? No, infatti al Var le hanno tutte e il “non ci sono le immagini” tanto di moda in questo momento è una scusa. La verità è che, secondo i “varisti”, spesso non sono così chiare da prendere una decisione. Se non c’è un’immagine perfetta, non ci sbilanciamo, quando invece spesso non serve la matematica certezza e nemmeno si può pretendere. Bisognerebbe arbitrare, al Var come in campo.

TRIPLO MANI
È il caso del triplo mani di Rabiot e Vlahovic in occasione del gol di Kostic in Inter-Juventus (0-1) che ha prodotto quattro (quattro!) minuti di revisione e zero scelte sia dell’arbitro Chiffi, che ha fatto da “spettatore”, sia dei varisti Mazzoleni e Piccinini. Le hanno viste tutte ma hanno deciso di non decidere, quindi di lasciare il tutto come è avvenuto. Il “non ci sono immagini valide” non regge perché in televisione quelle stesse immagini scorrevano senza sosta e sono le stesse delle stanze potentissime di Lissone. Ennesima conferma che non il problema non è il Var ma chi (non) lo utilizza. È bene ricordare che i signori davanti agli schermi sono diventati professionisti: se prima alternavano campo e scrivania, ora fanno solo quello. I varisti. Decidere in base alle immagini a disposizione - tante o poche che siano - è il loro lavoro.

Non decidere per via delle immagini o nascondersi dietro le pieghe del protocollo, secondo il quale una decisione di campo va lasciata com’è, è non lavorare. Insomma, aiutati che la tecnologia ti aiuta. Anche perché l’autorità è ciò che chiedevano gli arbitri. Non volevano mantenere il potere decisionale? Prima di Inter-Juventus ci sono stati altri episodi di “assenteismo decisionale”. Fresco è il gol di Rabiot alla Sampdoria convalidato per lo stesso presunto motivo: assenza di immagini chiare. Strano che in Udinese-Milan accada il contrario e si pieghi il protocollo: in casi come il tocco di Bijol, sostengono gli esperti, qualunque sia la decisione dell’arbitro in campo (Nasca) andrebbe confermata perché è un'interpretazione.

TACTICAL CAMERA
Sbagliare è meglio che non decidere, cosa ben più frequente. Come dimenticare il famoso Juventus-Salernitana dello scorso settembre: allora dissero che la “tactical camera” non era a disposizione del Vare per questo nessuno si accorse della posizione di Candreva per la quale il gol di Milik era regolare. Sempre quel giorno, però, lo stesso Candreva toccava il pallone di mano nel primo gol dei granata: in quel caso le immagini c’erano ma “non erano giuste”. La tecnologia sta diventando un dito dietro al quale gli arbitri si nascondono. Usino il Var per correggere le ingiustizie, non per avallarle. Altrimenti facciamo arbitrare direttamente un'intelligenza artificiale. 

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