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Inzaghi vince solo se gioca male: il caso della "brutta Inter"

Claudio Savelli
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Simone Inzaghi d’un tratto accetta la realtà dei fatti: l’Inter è diventata brutta e così deve giocare. Lasciamo perdere il gioco rotondo, gli interscambi, i quinti che diventano ali e i terzi di difesa che si aggiungono alle mezzali: si gioca per non far giocare l’avversaria. Se poi l’avversaria è il Porto, una squadra abituata a fare ciò che all’improvviso si mette a fare l’Inter, si ottiene una partita strana, scorbutica, dimenticabile. La più scadente degli ottavi di Champions e, con ogni probabilità, dell’intera fase finale della competizione. Si vedono azioni barbariche che iniziano con rinvii sbilenchi e finiscono con controlli a inseguire, passaggi sbagliati, tiri che diventano cross. Il campo attanagliato da un fungo e rattoppato non aiuta ma è anche il palcoscenico più coerente rispetto allo spettacolo offerto.

È ormai chiaro che l’Inter quest’anno rende di più le partite in cui si mette a giocare male. O, per la precisione, quelle in cui rinuncia al gioco. Sono quelle in cui si pone sullo stesso piano della rivale, non sopra come accade in campionato. È più umile, obbliga se stessa a tenere alta la concentrazione per l’intera durata della partita, cosa più unica che rara. L’emblema di questo atteggiamento è Calhanoglu, di gran lunga il giocatore con la migliore attitudine in campo, l’unico che riesce ad andare oltre le disposizioni tattiche e a metterci del suo. Anche Onana e i difensori, ad eccezione di Acerbi che tende a lasciare qualche buco, alzano il loro livello. Ha poco senso la presenza di Dzeko dall’inizio, se il piano tattico è il contropiede. Meglio Lukaku, anche se non è quel Lukaku e forse non lo sarà mai più. È l’ennesimo eccesso di didattica di Inzaghi, allenatore che sceglie secondo gerarchie preconfezionate e non si lascia mai trasportare dal momento, dal piano di gara, dall’intuito.

Sembra che Inzaghi sia entrato in una modalità egoistica in cui pensa più a sé che al club. È come se avesse deciso di non costruire più il futuro dell’Inter per concentrarsi sul presente. Può essere una reazione difensiva ai recenti dubbi nati sul suo conto: della serie, visto che mi mettete in discussione per il domani, esiste solo il qui e ora. È una rinuncia coerente con il momento di fiacca in cui è l’Inter ma dannosa per il futuro della società che ha bisogno di costruire un’identità e accerchiarsi di entusiasmo, non solo di guadagnare soldi. Probabilmente il mister sbandiererà ai quattro venti la conquista dei quarti di finale dopo dodici anni. Cita spesso anche le altre coppe conquistate quando arrivano le sconfitte. Sarebbe meglio evitare e concentrarsi su quel che bisogna fare piuttosto su quanto è stato fatto perché parecchio è stato anche lasciato per strada. Bravo Inzaghi a riportare l’Inter nelle migliori otto d’Europa ma si ricordi del paradosso: ha compiuto un grande passo in avanti facendone uno ancor più ampio all’indietro sul piano del gioco e dell’identità.

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