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Osimhen, un caso la foto del bimbo per Carnevale: "Razzismo"

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Salvatore Dama
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Un bambino. Vestito con la divisa del Napoli. Con la maglia numero nove di Victor Osimhen. E la maschera, che l’attaccante nigeriano tiene sul viso per proteggersi dagli scontri di gioco. Cos’è? Amore, dici. Sbagliato: è razzismo. Succede a Napoli. Dove, con la squadra in testa alla classifica, il costume più diffuso a Carnevale non è Mercoledì degli Addams e neanche Squid Game. Sono i cosplay dei calciatori. Uno in particolare. Il problema? È che per assomigliare a Osimhen, oltre a tingersi i capelli di biondo, bisogna mettersi il cerone marrone scuro in faccia.



E qui cominciano i problemi. Non si fa. Perché, secondo la scrittrice Sabrina Efionay, è una sorta di insulto razzista. La “blackface”, spiega, richiama i film americani degli anni Venti, quando gli attori bianchi si dipingevano il volto per sfottere i neri. Ma senza andare così lontano nel tempo, basta ricordarsi la pubblicità della liquirizia Tabù, che girava sulle televisioni italiane negli anni Ottanta. Bene, ma ti pare che un travestimento di un bambino possa essere associato a un roba del genere? La “creatura” napoletana voleva omaggiare il suo idolo, non prenderlo in giro.


«È UNO SFOTTÒ!»
Però non si può, non si deve. Il bambino in questione «non aveva solo la maglia del Napoli con il nome del giocatore e i capelli biondi, ma anche la pelle, le mani, la faccia, tutti dipinti di un marrone scurissimo», si lamenta la scrittrice in un’intervista al Corriere del Mezzogiorno. «È stata un’immagine incredibilmente disturbante». C’è, aggiunge, «una linea molto sottile tra il celebrare un idolo e fare una gaffe abbastanza forte tra le persone nere». Chi lo fa è razzista. La blackface è «una maschera utilizzata a teatro come sfottò nei riguardi degli africani» per enfatizzare «aspetti somatici a mo’ di macchietta». Meglio vestirsi da Spiderman o Capitan America. «Se ti vesti da Osimhen ricalcando la pelle nera stai prendendo le sembianze non di un calciatore ma di una cultura diversa». Sentenza finale: è razzismo. 

 

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