Palladino, "l'unico in Europa": il miracolo del Monza tutto in una statistica
Quando Thiago Motta fu ingaggiato per guidare il Genoa si sprecarono pagine, inchiostro e server per descriverlo come un pazzo rivoluzionario che avrebbe schierato le sue squadre con il 2-7-2. Manco fosse un fan di Oronzo Canà, il povero Thiago fu etichettato per una provocazione: «Non ho un modulo fisso, tant’è che per me la squadra si può leggere anche partendo dalla fascia destra arrivando alla sinistra: che ne dice se giochiamo con il 2-7-2?». Era un modo per dire che, nel calcio contemporaneo, il sistema di gioco è secondario rispetto all’occupazione dello spazio. Spalletti ripete ogni volta che può che il suo gran Napoli gioca basandosi su questa idea, ma se lo dice il vecchio è cosa seria, se invece lo dice un giovane (nel 2019 Thiago aveva 37 anni) è un delirio di onnipotenza. Ora Thiago di anni ne ha 40 tondi e guida il Bologna verso l’Europa dopo averlo raccolto da Sinisa Mihajlovic: l’eredità più pesante che si possa immaginare. La squadra gioca con un 4-2-3-1 dinamico il cui scopo è valorizzare i giovani della rosa (Zirkzee, Ferguson, Lucumì e Posch sono investimenti consigliati alle grandi italiane) che sono stati allevati in paesi dove è naturale il gioco intenso.
VIRTUOSO DELLA PANCHINA
Ovviamente serve abbinare il tutto ai risultati, altrimenti Thiago sarebbe davvero un virtuoso della panchina come veniva descritto all’inizio: in 15 gare di A ha raccolto 23 punti, uno in meno di Milan e Atalanta. E già allo Spezia aveva dimostrato di avere un solido presente prima che un radioso futuro, salvandosi con il mercato semibloccato e senza fiducia della società, a differenza di Italiano l’anno precedente. Anche Roberto De Zerbi era considerato un visionario del bel gioco senza occhi nella realtà. Forse perché, come Thiago, ha iniziato in A a 37 anni, quando uno potrebbe ancora giocare. Noialtri non siamo abituati a Nagelsmann che a 28 anni diventa tecnico dell’Hoffenheim e più giovane mister nella storia della Bundesliga. Infatti De Zerbi si sta consacrando all’estero, in Premier, al Brighton che, in poche settimane, gioca come lui desidera, aggiungendo al calcio di posizione del Sassuolo la fisicità britannica. Ora è sesto con possibilità di superare il Tottenham di Conte e agganciare il Newcastle in zona Champions.
A proposito di giovani e di Premier, chi guida il campionato? L’Arsenal di Arteta. Un altro 40enne a cui i Gunners sono stati affidati tre anni fa. Certo, l’apprendistato al fianco di Guardiola non è per tutti ma Pep sapeva che l’allievo avrebbe battuto il maestro e pure Mourinho, quando allenava il Tottenham, disse che sarebbe diventato un fuoriclasse. Arteta, in quel momento, perdeva la metà della partite con l’Arsenal. Ci vuole tempo per i giovani? Non è detto perché, avendolo vissuto, la loro capacità di capire lo schizofrenico calcio contemporaneo è superiore. Lo dimostra Palladino che, a 38 anni, sta trascinando il Monza a ritmo europeo. È l’unico imbattuto in A in questo avvio di anno solare: due vittorie e quattro pareggi.
Il segreto della nuova generazione è la vicinanza di età ai giocatori che allenano, cosa riconosciuta anche al 46enne Inzaghi nell’Inter battuto pochi giorni fa dall’Empoli di Zanetti, altro 40enne che riesce ad abbinare i risultati allo studio e il gioco. Questi giovani allenatori funzionano perché hanno una dialettica pacata, rilassata, naturale. Funzionano perché non vogliono emulare i modelli più vecchi di loro. Funzionano perché cercano una propria identità, ma non ne sono schiavi. Funzionano perché vogliono portare valore al calcio, di cui sono sinceramente appassionati. Funzionano perché partono dalle squadre piccole, senza pretendere la grande panchina per la carriera da calciatori. Funzionano perché sono compagni di squadra aggiunti ma sanno anche conservare la propria autorevolezza, senza essere autoritari. Funzionano. Punto.