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Milan, il retroscena: "Imbarazzante, Pioli confuso", cosa è successo

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Claudio Savelli
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 Un mese nel calcio è un’eternità. Al Milan è bastato e avanzato per passare da squadra da scudetto, o prima contendente del Napoli, a formazione da Europa League. Da 34 giorni non vince lo straccio di una partita. L’ultimo successo è datato 4 gennaio, 2-1 in casa della Salernitana grazie ai gol di Leao e Tonali nei primi 15’, apici di un primo tempo ben giocato, da buon vecchio Diavolo. Il secondo tempo fu di gestione: con il senno di poi, un’anticipazione del cortocircuito. Perché il Milan non ha mai speculato sul risultato. Lo ha sempre inseguito, anche dopo averlo ipotecato. Infatti contro la Roma, gara in cui è cominciata la decadenza, ha incassato due reti tra l’87’ e il 93’ dopo aver abbassato i giri del motore.
Per la prima volta nella gestione Pioli il Milan ha deciso di risparmiarsi, pensando di essere comunque superiore alle rivali. Si è snaturato e, nel giro di un mese, ha perso le certezze faticosamente costruite in oltre tre anni di lavoro. Certo, nessuno in quel momento avrebbe scommesso sulla successiva crisi, tanto profonda quanto rapida. Ma se dall’esterno è lecito sottovalutare l’andazzo, dall’interno è invece grave. La colpa di Stefano Pioli è non aver annusato il pericolo, prima che non aver saputo porre rimedio.
 

QUESTIONE MODULO
Per un mese ha insistito sul modulo che lo ha portato al successo nonostante la squadra avesse perso equilibrio (18 reti incassate nelle ultime 7 gare), come se volesse proteggere il lavoro svolto negli anni precedenti. Parzialmente corretto (il Milan senza la sua identità abbassa il proprio livello competitivo) ma non era richiesta una rivoluzione quanto una piccola modifica per sopravvivere al momento e recuperare le certezze che, invece, via via si sgretolavano. Niente per un mese poi, in una gara particolare come il derby, il mister decide di cambiare tutto. Il 3-5-2 visto nella stracittadina era un azzardo perché quanto di più lontano dal precedente 4-2-3-1. Dalla difesa a quattro a quella a tre, dal centrocampo a due al regista più le mezzali, dalle ali ai quinti, dal centravanti alla coppia di attaccanti. È tutto diverso. Tutto. Avrebbe acquisito un minimo di senso con altri giocatori, coerenti alla strategia: Leao e Rebic davanti al posto di Giroud e Origi, ad esempio. Perché se vuoi giocare con un baricentro basso e ripartire, devi avere chi è in grado di risalire il campo. Dopo la sconfitta, Pioli ha dichiarato che «la difesa a tre verrà riproposta».

 

Era al bivio: dopo aver sbugiardato il Milan originale, avrebbe sbugiardato anche la versione d’emergenza? Forse avrebbe perso credibilità. Il tecnico, ora, sta cercando di proteggere quella. Sa che è un prezioso salvagente. Ma non è facile per i calciatori credere in un tecnico che d’un tratto li scaraventa in ruoli sconosciuti. Contro l’Inter, almeno metà formazione era fuori posizione. E chi lo era come per incantesimo ora non rende più. Vedi Theo Hernandez, irriconoscibile. Corre (10,3 chilometri nel derby) ma a vuoto. È impreciso, distratto, impotente, dopo essere stato con Leao il simbolo dello strapotere fisico e mentale del Milan. La sfiducia serpeggia, come dimostra il video virale in cui sei rossoneri se la prendono con Tatarusanu, migliore in campo nel derby. Sembra esserci uno scarica barile, chiaro sintomo di una carenza di personalità nel gruppo. Ibra, in questo senso, è l’assenza più pesante. L’altra è quella di Maldini e Massara che nel momento peggiore si sono chiusi in uno strano silenzio. La classifica dell’anno solare grida, intanto: i campioni d’Italia sono quartultimi con 5 punti, davanti a Cremonese, Sampdoria e Salernitana, due squadre quasi spacciate e l’unica battuta. La somma con l’anno scorso fa un sesto posto che vale l’Europa League. Ma la prossima è contro il Torino, ora in zona Conference, lontano 8 punti e in pieno slancio. Un’altra sconfitta declasserebbe definitivamente il Milan alla lotta per il minimo sindacale.

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