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Juventus, "John Elkann sapeva tutto": altra bomba dalla procura

Marco Bardesono
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Era il 1980 quando gli italiani scoprirono l’esistenza della giustizia sportiva. In una domenica di marzo, le partite erano appena terminate, in alcuni stadi entrarono le auto con i colori di istituto della Guardia di Finanza. Alcuni calciatori e dirigenti sportivi finirono ospiti della patrie galere, coinvolti nell’inchiesta sul “Totonero”. Partite truccate e scommesse clandestine gestite da due personaggi quantomeno equivoci, Massimo Cruciani, fruttivendolo romano, e Alvaro Trinca, gestore del ristorante “La Lampara”, un’osteria nei pressi di piazza del Popolo. Sul piano sportivo alcuni giocatori furono poi squalificati, punite società e dirigenti. Protagonista assoluto della vicenda Corrado De Biase, procuratore, il “Torquemada” della Figc. Ciò che stupì all’epoca, e oggi le cose sono cambiate di poco, è come la giustizia sportiva sentenzi senza necessità di quelle stesse prove necessarie in sede penale e civile. «Essenziale è il convincimento del giudice», spiegava De Biase. E qui casca l’asino perché, pur con tutto il rispetto, la difesa della “Vecchia Signora” affidata al fior fiore dei Principi del Foro disponibili su piazza, giuridicamente ineccepibile, non ha però convinto i magistrati.
 

LA PAROLA DI BONIPERTI
Allora, invece, furono sufficienti alla Juventus la presenza in aula di Giampiero Boniperti (accompagnato, pro forma, dall’avvocato Vittorio Chiusano), la sua storia, il suo prestigio e la sua parola di galantuomo per un’assoluzione con formula piena già in fase istruttoria. Evidentemente oggi, per la società bianconera, non è più così, ne da una parte, ne dall’altra.
Perché per la giustizia sportiva, si legge nelle motivazioni della sentenza che condanna i bianconeri ad una penalità di 15 punti, «colpisce la pervasività ad ogni livello della consapevolezza della artificiosità del modus operandi della società stessa. Dal direttore sportivo di allora (Paratici) all’allora dirigente suo immediato collaboratore (Cherubini). Dal presidente del consiglio di amministrazione (Agnelli) a tutto il consiglio stesso (citato come consapevole dal medesimo Agnelli). Sino ancora all’azionista di riferimento e all’amministratore delegato (Arrivabene) e ancora passando per tutti i principali dirigenti, inclusi quelli aventi competenza finanziaria e legale».


Dunque, almeno per la giustizia sportiva, non solo i dirigenti, ma anche «l’azionista di riferimento» erano consapevoli di quanto stesse accadendo nella società, certamente per le plusvalenze, si vedrà poi per la vicenda degli stipendi dei calciatori e per le carte segrete firmate durante il periodo Covid. Dunque, anche John Elkann, amministratore delegato di Exor che, non essendo un tesserato della Figc, non è stato sanzionato. Cosa diversa sarà in sede civile e penale, sempre ammesso che alla “Vecchia Signora” vengano attribuite responsabilità o colpe, perché i processi sono ancora tutti da celebrare e, in quelle sedi, i “Principi del Foro” avranno maggior voce in capitolo rispetto a quello che è stato il ruolo che hanno ricoperto nel procedimento sportivo. Certo è che Elkann (e le intercettazioni che sono agli atti lo confermano), pur consapevole di quanto avvenuto in seno alla Juventus, ha provveduto a fare piazza pulita «per difenderci dalle accuse», ma anche per arrivare quanto prima ad una “rifondazione” della società. Per questo Exor ha messo in campo un “governo tecnico” della Juventus che non ha precedenti, neppure ai tempi della retrocessione tra i cadetti con Giovanni Cobolli Gigli presidente.



Tornando alle accuse alla società rappresentate in giudizio dal procuratore federale, i giudici sportivi hanno ancora scritto: «Una consapevolezza (dei dirigenti) a tutto tondo, dell’artificiosità delle operazioni condotte. In altri casi, con una consapevolezza più superficiale o magari persino di buona fede (ci si riferisce anche all’allenatore della squadra), ma comunque in grado di far dire che tutti fossero direttamente o indirettamente coscienti di una condizione ormai fuori controllo. Il mancato disconoscimento del “Libro Nero di FP” e la mancata presa di distanza da esso, ha una portata devastante sul piano della lealtà sportiva». Il convincimento dei giudici, dunque, riguarda, al di là delle contestazioni concrete, l’assenza di lealtà, probità e correttezza da parte dell’intero management. Un’accusa che a Boniperti nessuno si sarebbe mai sognato di contestare. 

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