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Victor Osimhen, 36 gol in 65 partite: perché è un bomber vero

Leonardo Iannacci
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La vigilia di questo bizzarro Napoli-Juventus è stato un condensato di parole dette e non dette, sussurrate o solo pensate, battutine che non volevano essere battutine e verità che non volevano essere verità. Un incrocio tra uomini che non si amano più di tanto e calciatori che sono, loro sì, attori protagonisti di una recita a soggetto, come piaceva tanto a un certo Eduardo de Filippo. Poi si è giocato, le parole si sono sciolte, le pinzellacchere sono evaporate, le frecciatine tra Spalletti e Allegri sono diventate incenso e i fumogeni sono stati dispersi nel cielo notturno di Napoli. È arrivata 'a nuttata, niente e la scena se l'è presa subito un ragazzo nato a Lagos, in Nigeria, il 29 dicembre del 1998, quindi sotto il segno del Capricorno. Più del pur brillante Kvaravaggio che chiameremo così perché anche definirlo Kvaradona è una bestemmia tra i vicoli di Spaccanapoli.

 

 

 

LA PUNTA MASCHERATA

Dicevamo che è salito alla ribalta di un palcoscenico che si chiama Diego Armando Maradona il centravanti con la maschera, il capocannoniere della serie A (già 11 prodezze), il ragazzone che sta calcificando nel cuore dei napoletani una moderna passione, facendo sbiadire quell'azzurra celeste nostalgia che riporta spesso ai tempi belli in cui Diego era il re di questa città. Ieri sera l'indemoniato Victor Osimhen ha aperto le danze, dopo un quarto d'ora di tocchi e tocchetti, segnando il gol numero 36 in 65 partite giocate con la maglia del Napoli. Lo ha realizzato correggendo, di testa, un'acrobazia di Kvaravaggio, respinta da Szczesny. Per poi offrire, proprio al georgiano, l'assist per il comodo 2-0 e servire il poker nella ripresa per una personale doppietta che ne amplifica la gloria.

Riassumendo: cosa dà al Napoli, in questa stagione felice della sua vita calcistica, questo ragazzone? Gol certo. Ma anche fisicità, atletismo, velocità sul breve e in progressione, personalità da leader, intuito sotto rete, furbizia, ferocia. Persino altruismo nel momento in cui deve ripiegare in difesa, come è successo ieri quando la Juve portava munizioni verso la porta di Meret. Rappresenta, filosoficamente, l'importanza di avere in squadra un centravanti vero: altro che falso nuove o attaccante di manovra. Victor è uomo di lotta e di governo.

 

 

 

Ieri sera era ovunque: a destra, a sinistra, e ovviamente al centro dell'area, lesto a far girare la testa a Bremer, che pure un pivellino non è, e poi ad Alex Sandro. Un demonio in maschera. Di quella maschera che lo ha fatto diventare un moderno Zorro delle aree di rigore, il buon Victor non ne fa a meno dal 21 novembre di due anni quando si giocò quel cruento Inter-Napoli che vide Skriniar impattare contro la fronte del nigeriano. La diagnosi evidenziò una frattura dello zigomo sinistro e dell'orbita oculare. Osimhen restò fuori due mesi e, dal rientro, non ha mai rinunciato a quella copertura che protegge la parte del volto più sensibile. Non sarà la maschera di Pulcinella, quella indossata dal grandi commedianti di Napoli per raccontare il cuore e le pulsioni di una città unica. È la maschera magica di Victor Osimhen, l'uomo di Lagos, il cavaliere che vuole riscrivere una nuova versione dell'opera più complessa di Giuseppe Marotta: L'oro di Napoli. E così sia.

 

 

 

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