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Macron, giù la cresta: "Il suo faccione...", il dettaglio dalla finalissima

Fabrizio Biasin
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Porcamiseria che partita. Por-ca mi-se-ria. E ancora, porca miseria. Potremmo finire qui, ma c’è altro da dire. La prima cosa che ci viene da dire di Argentina-Francia - emozionante, straordinario, incredibile, fantasmagorico, adrenalinico ecc ecc... –, attofinale di Qatar 2022, è che Gianni Infantino ha un gran bel culo: gli è capitato lo spot per il calcio più bello da quando esiste il calcio, con le due squadre più meritevoli che arrivano in fondo, con i due calciatori più forti al mondo che si sfidano, con questi ultimi che giocano a livelli celestiali e se le danno fino allo sfinimento. Una combinazione di bellezza rara e impressionante. Gianni, dicci come si fa.

La seconda cosa che ci viene da dire è che, effettivamente, lo stravolto e spompatissimo mondo del pallone aveva bisogno come il pane con la nutella di una roba del genere: 120 minuti + supplementari e successivi calci di rigore che fissano la sfida Doha in cima alla lista delle finalissime più belle di sempre e ci permette di sentenziare che, sì, nonostante tutto il calcio ha ancora un futuro. Certo, qualcuno non sarà d’accordo ma, fidatevi, andrà anche peggio quando arriveremo allo stucchevolissimo punto «Meglio Messi o Maradona?». Ben inteso, la partita ha vissuto "vite" diverse, per oltre un tempo è parso un monologo sudamericano perfino noioso, poi i galletti hanno sfoderato le baguette ed è diventato un "dare e prendere" che solo l'ottimo arbitro polacco dal nome complicato poteva gestire (il signor Szymon Marciniak, bravissimo davvero). La terza cosa che ci tocca raccontare punta dritto sul faccione del Signor Macron, Presidente sgallettato. Il volpone dopo le gioie della semifinale sognava di completare l'ambo e fare il pieno di consenso ma, alla fine, invece di giocare a scopone come Pertini nel 1982 è stato scopato via come capita ai topolini mangia formaggio (francese). La regia internazionale lo ha inquadrato più di Mbappé e Messi, ma non è bastato. Simone Inzaghi direbbe "spiaze".

MOMENTO GIUSTO
Poi c'è la lezione argentina, un Paese che amiamo da sempre, forse perché vive le nostre stesse incongruenze, i nostri stessi limiti e che, però, al momento giusto sa compattarsi come pochi. L'albiceleste il Mondiale lo ha vinto prima ancora di scendere in campo, perché è stata "squadra" sempre, anche e soprattutto dopo la prima, amarissima delusione: il ko all'esordio contro l'Arabia Saudita poteva stroncarli, non si sono fatti prendere dal panico e si sono affidati al meraviglioso Messi 2.0. E veniamo per l'appunto alla quinta cosa e diciamo "cosa" perché, dopo ieri, effettivamente non sappiamo più se la Pulce di Rosario sia fatta della nostra stessa sostanza (il buon Lele Adani è pronto a giurare che no, trattasi di entità ultraterrena, forse ha ragione lui). Leo il predestinato si è presentato in Qatar con gli stessi piedi di sempre, ma con una testa diversa. Per la prima volta lo abbiamo visto addirittura incazzato, persino arrogante, ma di un'incazzatura e di un'arroganza necessarie per togliersi di dosso l'immagine del «quasi Maradona che, però, non sarà mai Maradona. Povera stella...». Quella stessa immagine che gli avrebbero tatuato addosso per sempre se ieri non avesse completato l'opera. E invece c'è riuscito. Lo ha fatto nel modo migliore, dopo una partita epica, c'è riuscito guidando i suoi tra gli alti e i bassi di una sfida da esaurimento nervoso e sfruttando l'ottimo lavoro dei suoi fedeli soldati (Emiliano Martinez su tutti).

CONCORRENZA
E prima ha sbaragliato la concorrenza del suo "antico" rivale Ronaldo, tornato a casa troppo presto; poi vincendo di un'incollatura la sfida con quell'iradiddio di Mbappé, sconfitto ieri ma destinato a vincere una mezza dozzina di Palloni d'Oro, potete scommetterci. E allora sì, chiudiamo con lo stucchevole quesito: Messi ha finalmente superato Maradona? No, l'altro per mille motivi è e sarà sempre "il Padre del calcio". Però c'è un "però": il solo fatto che ormai questa domanda non crei più imbarazzo alcuno la dice lunga su cosa sia riuscito a fare Leo da Rosario, da ieri seduto di diritto alla destra del Padre, appunto.

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