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Marocco-Francia, "convertitevi": la "crociata" islamica, choc prima della partita

Daniele Dell'Orco
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La nazionale del Marocco incarna uno spirito che nel mondo anglosassone chiamerebbero bottom-up. Un sentimento, cioè, che parte dal basso, dal popolo e che si identifica con degli esempi e dei portatori di fede. A prescindere da cosa pensi la sfera più "alta". Il Marocco è infatti un Paese arabo moderato, con salde relazioni con l'Occidente e in lotta contro l'estremismo. Ai marocchini, però, la politica interessa il giusto, e i cinque pilastri dell'islam rappresentati nel pentagramma verde della loro bandiera lo dimostrano. Così, nella semifinale mondiale di stasera non saranno solo i marocchini a sperare che i Leoni dell'Atlante battano la Francia, ma anche i cittadini di tutta l'Africa e del mondo arabo-musulmano.

Per questo, anche l'islam gioca un ruolo. Per i calciatori in primis, e poi anche per mezzo miliardo di musulmani.Mentre tornavano al loro hotel in pullman dopo la vittoria contro la Spagna, due giocatori Zakaria Aboukhal e Abdelhamid Sabiri hanno avviato una live sui social in cui ringraziavano Allah e invitavano calorosamente le persone ad abbracciare l'Islam: «Convertiti all'Islam, passa dalla parte dei buoni. Abbraccia la pace», dicevano. Negli spogliatoi dopo Marocco-Portogallo, invece, i due insieme a Ilias Chair si sono fatti ritrarre in posa mentre allungano il dito indice destro, un segno noto tra i musulmani come Tawhid.

 

 

L'UNICITÀ
Il gesto riflette l'unicità e l'esistenza di un solo Dio: Allah. È inoltre strettamente legato alla Shahada, testimonianza di fede con cui ogni musulmano dichiara di credere in un solo e unico Dio e nella missione profetica di Maometto.

Pur rimanendo parte delle preghiere quotidiane dei musulmani di tutto il mondo, il simbolo è per questo molto utilizzato dai terroristi wahhabiti e dagli affiliati all'Isis. Questi calciatori "crociati" sono tra l'altro anche cittadini europei. Sabiri, che gioca in Italia con la Sampdoria, ha passaporto tedesco, Aboukhlal è nato in Olanda e Chair in Belgio. Una testimonianza palese dei sentimenti che vivono gli immigrati di prima, seconda e terza generazione nelle nostre città.

 

Anche per questo, Francia-Marocco sarà una gara solo in parte immersa nelle dinamiche tra ex potenza coloniale e un'ex colonia, protettorato francese dal 1912 al 1956. Perché il confronto Occidente Islam è in realtà molto più attuale. I francesi lo sanno meglio di tutti, visto che Francia gli immigrati marocchini si contano in 755.000 unità, ma sono oltre 1 milione 300.000 i discendenti, almeno di seconda generazione, della cosiddetta "diaspora marocchina", il secondo gruppo etnico di immigrazione dopo gli algerini. Lo stesso ct marocchino Regragui è nato in Francia da genitori marocchini, e si ritrova ad affrontare la nazione che gli ha dato i natali senza nascondere il senso che la partita ha per il Marocco: «Siamo in missione. Abbiamo un'opportunità, non voglio sprecarla. Non voglio aspettare 40 anni. Ci sono momenti in cui devi segnare il tuo territorio, ora è il momento». Dialettica di lotta a tutti gli effetti.

Da qui nascono pure le preoccupazioni sull'ordine pubblico. Veri e propri quartieri a maggioranza marocchina si trovano a Nîmes e Montpellier: quest' ultimo, la Paillade, una decina di anni fa era stato oggetto di attenzioni da parte della stampa per il presunto rischio di una radicalizzazione islamica.

Ascolta "Inter, il cerchio del 5 maggio" su Spreaker.

PARIGI BLINDATA
Parigi sarà certamente blindata. Ma le città a rischio visti i precedenti sono diverse in tutta Europa: Bruxelles, Amsterdam, Barcellona e Milano. Viste le premesse e il clima infuocato che attende la Francia non solo in patria ma anche nello stesso, arabissimo Qatar, il ct francese Deschamps ha provato a stemperare la tensione: «La tifoseria marocchina sprigiona un calore incredibile, ma non l'avverto come ostile. I loro tifosi fanno molto chiasso, però la preparazione di una partita prevede anche una riflessione sulle condizioni ambientali, i miei giocatori sanno che cosa li aspetta». O forse no. 

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