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Argentina, Julian Alvarez? "Dopo due allenamenti...": ora tutto torna

Claudio Savelli
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A Pep Guardiola sono bastati due allenamenti per inquadrare Julian Alvarez: «Questo è un fuoriclasse», dichiarava ai suoi collaboratori sei mesi fa. Il pacco con un 22enne argentino dalle ottime referenze era appena arrivato e no, non era un "pacco". Il Manchester City aveva versato 21 milioni e mezzo al River Plate a gennaio per anticipare la concorrenza, lasciandolo a Buenos Aires in prestito fino a giugno. Nel disegno dei celesti inglesi, avrebbe recitato la parte della riserva di sua altezza Haaland, e per questo ci si domandava se non fosse il caso di mandarlo in prestito per un anno.

Stop, «non si muove da qui», risponde Guardiola. Nei piani di Pep è diventato velocemente un titolare aggiunto. Nel disegno originale dell'Albiceleste in Qatar sarebbe dovuto subentrare negli sprint finali al posto di Lautaro, per sfruttare la sua freschezza mentale e atletica. In quello del ct Scaloni è diventato rapidamente il centravanti di riferimento. La storia è la stessa. Un motivo ci sarà.

AL POSTO GIUSTO
Julian Alvarez diventa sempre l'uomo giusto al posto giusto nel momento giusto. Non perché è fortunato ma perché è speciale. L'Argentina, che lo ha visto da vicino, poteva immaginarlo, ma mai avrebbe scommesso su un Mondiale così, a questi livelli e con un ruolo così decisivo. Nessun tifoso lo riteneva superiore al collega e amico nerazzurro Lautaro in senso assoluto.

 

Semplicemente, Alvarez si è rivelato migliore per questa Argentina. E questa Argentina, in estrema sintesi, è Leo Messi. Un Messi in versione Batman, con gli occhi spiritati e una feroce voglia di vincere, aveva bisogno di un Robin. Di un attore non protagonista capace però di non essere oscurato dalla luce di un premio Oscar. Di un talento in rampa di lancio ma anche utile qui e ora, ché l'ultimo Mondiale del Dieci si gioca una volta sola.

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Julian è abituato alla pressione. Centoventidue partite nel River Plate prima di compiere 22 anni sono un apprendistato di cui ci si può fidare. Tra queste ne sono peraltro comprese 35 di Coppa Libertadores, tra cui due finali (2018 e 2019) e un 8-1 all'Alianza Lima con sei reti segnate, record nella competizione. Il bottino complessivo con la sua squadra del cuore recita 54 reti e 31 assist, oltre un contributo decisivo ogni due presenze. Ma i numeri non bastano a spiegare Alvarez e la sua rilevanza in campo. Le sue prestazioni sono così piene che, per paradosso, dalle reti e dagli assist potrebbe prescindere. Sarebbe comunque utile ad un partner di lusso che ha bisogno di un lavoratore capace di aprire qualche varco e disimpegnarlo dalla fase di pressing, come Messi.

Ma anche ad un partner che vive per il gol, come Haaland nel City. Fa funzionare tutti e tutto. È un Nove contemporaneo, Alvarez, perché ha una mentalità da mediano, la lettura di un trequartista, l'abnegazione di un terzino e la continuità di un esterno. È rapido di gambe ma soprattutto di testa, nei pensieri, quelli con cui si gioca bene a calcio nel 2022. Capisce in anticipo ciò che accadrà e sa posizionarsi di conseguenza. È egoista nei pressi della porta quanto altruista lontano da essa. Con la Croazia ne fornisce una prova: conquista il rigore per Messi, segna dopo una solitaria cavalcata di foga e spirito più che di tecnica, pressa tutta la difesa avversaria fino ad obbligare il portiere ad un rinvio sbilenco e infine sigla il 3-0 su assist di Leo, che ci tiene ad averlo come amico. Grazie Julian Alvarez: senza dite, ci sarebbe stato meno Messi e molta meno Argentina.

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