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Qatar 2022, siamo finiti a prendere lezioni dal calcio africano

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Fabrizio Biasin
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Da ieri alle ore 18- minuto più, minuto meno - in molti si sono affrettati a spergiurare: «Io prima del Mondiale l'avevo detto che il Marocco sarebbe arrivato fino in fondo!». Cazzate, non lo aveva detto nessuno. E non lo pensava nessuno, neppure i marocchini. Del resto stiamo parlando di un gruppo di lavoro che ha "conosciuto" il suo ct, Walid Regragui, non più tardi di qualche mese fa.

 

 

Era il 31 agosto e la federazione annunciava la sua nuova guida dopo una Coppa d'Africa - quella giocata a gennaio - terminata prematuramente ai quarti contro l'Egitto (1-2 ai tempi supplementari). Ecco, nessuno poteva pensare che in così poco tempo avremmo visto in campo siffatta macchina da guerra, un insieme fatto di organizzazione tattica (capita di rado di vedere una squadra africana così ben sistemata in campo), capacità di individuare il punto debole dell'avversario, meravigliosa rabbia agonistica e interpretazione modernissima dell'antico contropiede che un tempo era "difendiamo e ripartiamo" e, ora è "difendiamo e verticalizziamo" (cambia solo la terminologia, ma è sempre la stessa cosa).

Un solo gol preso - anzi, un autogol - in cinque partite giocate contro Canada, Belgio, Croazia, Spagna e Portogallo non è cosa di tutti i giorni e certamente non di tutti i Mondiali. Bene, veniamo al punto. Da mesi abusiamo di una marea di frasi fatte da far venire il latte alle ginocchia. «L'Italia deve riaprtire dalla programmazione», «Da un campionato migliore», «Servono le scuole calcio», «Servono gli impianti», «Proteggiamo i calciatori italiani», altre boiate.

 

 

Cioè, non boiate, capiamoci, sono tutte cose che hanno un senso, ma prescindono da una realtà ben più sempliciotta: per arrivare in fondo a un Mondiale basta un bravo allenatore (Regragui sa perfettamente come far rendere il suo "materiale umano"), una ventina di buoni giocatori disposti a crepare sul campo (questi qui hanno davvero il fuoco dentro), soprattutto serve quella "roba magica" che ti permette di iniziare da nazionale destinata a vestire i panni della comparsa e di trasformarti, partita dopo partita, in armata invincibile, nonché prima squadra africana capace di raggiungere la semifinale in un campionato del mondo.

Il resto lo fanno i giocatori di livello superiore, ovvio: Hakimi lo conosciamo, Amrabat sta disputando un torneo da fenomeno, Ziyech beato chi se lo prenderà. Vorremmo concludere con la classica frase «poi, certo, ci vuole anche il culo», ma la verità è che fino a questo momento non ne hanno avuto bisogno. Marrakech Express! (Non c'entra nulla ma se non lo scrivi oggi, allora quando?). 

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