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Leo Messi, perché ora che si arrabbia può vincere

Claudio Savelli
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Gli occhi dicono tutto, quelli di Leo Messi di più. Sono diversi rispetto al passato. Più fermi, convinti, feroci. Li incroci e ti spaventi. Li osservi e ti domandi se appartengono all'uomo che un tempo soffriva la sua stessa grandezza. Sono occhi vecchi di 35 anni, occhi che hanno visto di tutto e che vivono un Mondiale per l'ultima volta. Li ha forgiati il passato per vivere al meglio il presente, il qui e ora del Qatar che offre la possibilità di chiudere una carrier aleggendaria, Croazia (e non solo) permettendo. Lo sguardo di Messi nell'ultimo mese è sempre stato spiritato, come se fosse nel “flusso”.

STATO DI TRANCE - Gli americani l'hanno ribattezzata “teoria del flow”, ovvero l’esistenza di un momento nella vita in cui si entra in uno stato di trance agonistica e si vive un’esperienza di forte concentrazione in cui benessere e prestazioni aumentano mentre la coscienza scompare. È stata formulata nel 1975 da Mihaly Csikszentmihalyi, psicologo ungherese. Il nome deriva dalla metafora del flusso d’acqua che i pazienti usavano per descrivere lo stato in cui si trovavano. Detta anche “la zona”, è entrata nelmondo sportivo americano quando è stata associata a Michael Jordane alla sua capacità di scansionare il campo durante il gioco, prevedendo i movimenti dei compagni, degli avversari, delle azioni e delle sue stesse gesta. È lo stesso focus mentale in cui si è calato Leo Messi contro l’Olanda e nelle quattro gare precedenti.

 

 

I suoi occhi non mentono, il suo senso di estasi e controllo è totale in questo Mondiale, lo spazio-tempo è piegato al suo volere e la capacità di superare le difficoltà è assoluta. Anni fa, Leo avrebbe avuto difficoltà a superare il trauma del rigore sbagliato contro la Polonia, sia nella stessa gara sia dopo: stavolta ha reagito subito, come se non fosse successo nulla, e all’Olanda ne ha segnati due (uno in partita e uno nella serie decisiva) in modi opposti. Segnali di controllo assoluto.Gli occhi di Messi anticipano il linguaggio del corpo, l’atteggiamento, le gesta. Nonostante la partita contro gli Oranj e sia stata sul punto di esplodere in una rissa dall’inizio alla fine, il capitano dell’Albiceleste è rimasto concentrato. Non si è risparmiato nel “trash-talking” con gli avversari, guidati da un maestro nei giochi mentali come Van Gaal, che non ha mai nascosto un certo fastidio nei confronti dei sudamericani, ma nel frattempo ha badato al campo e alla prestazione. Se tempo fa si dedicava ad un solo aspetto della gara, ora è padrone anche del contorno.

 

 

LE PROVOCAZIONI - Ilct olandese aveva provocato alla vigilia della gara affermando che «non sarebbe stato un problema fermare Messi, visto che non è più inarrestabile». Dopo aver segnato il rigore del 2-0, il Dieci ha esultato con le mani appoggiate alle orecchie, rivolgendo lo sguardo verso la panchina arancione: un omaggio a Riquelme, il calciatore argentino più osteggiato da Van Gaal ai tempi del Barcellona 2002/2003. Alle interviste post-partita, Messi si presenta con gli occhi spiritati. Dopo aver spiegato che «Van Gaal vende fumo» e che «ha mancato di rispetto come alcuni giocatori olandesi», fissa lo sguardo alla destra della telecamera mentre il giornalista alla sua sinistra prova invano ad attirare la sua attenzione. Sta passando un olandese, probabilmente Werghost, l’autore delle due reti. «Cosa guardi, scemo? Vai, vai, vattene di là», esclama furente Leo. Il suo sguardo aveva già detto tutto. E aveva fatto di più, in campo. Quelli di Messi, infatti, sono occhi che vedono anche quando non guardano. Scannerizzano il campo e gli ingombri e individuano il corridoio in cui servire Molina, in occasione dell’1-0. Occhi speciali perché contengono un sesto senso, oltre che uno dei cinque basilari. Messi ha pianto per le delusioni conlamaglia dell’Argentina perché pensava di esserne la causa. Ha sofferto il peso delle aspettative di un popolo che non lo hai mai davvero riconosciuto, essendo lui cresciuto a Barcellona e non in patria. Ha addirittura vomitato in campo perla tensione durante la finale contro la Germania del 2014, non a caso persa. Ora può vincere perché è cambiato. Meglio tardi che mai.

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