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Il telecronista, Negro e Greco: licenziato per un lapsus

Hoara Borselli
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Paolo Negro è un signore di circa 50 anni. Da giovane è stato un calciatore di valore. Era un terzino destro. Giocò una decina di anni nella Lazio e fece anche qualche partita in nazionale. Vinse uno scudetto. Ogni volta che prendeva il pallone il telecronista scandiva: «Negro». Una volta fece un gol dopo una fantastica discesa, saltando tre avversari. Il cronista gridò, alzando sempre di più la voce: «Negro! Negro! Negro!». Non successe niente. La religione del politicamente corretto era agli albori. Qualcuno si ricordava ancora di quando era Martin Luther King a urlare fiero: «Noi, popolo negro!». E invece per il povero Stefano Carta, telecronista bolzanino di Eleven Sports, che ha chiamato per due volte «Negro» il centrocampista del Vicenza Freddi Greco, è scattata la gogna e la sospensione. I razzisti devono essere epurati! E non importa se il povero cronista ha dichiarato di essere stato vittima di un lapsus.

 

 

 

 

Nessuna redenzione per lui. La parola negro non si dice. Vai all'inferno e brucia. Spogliata per una volta delle mie vesti che trasudano di intolleranza alla liturgia del politicamente corretto, ho guardato e ascoltato il video incriminato e vi garantisco che bisogna essere in assoluta malafede per ravvisare nelle sue parole un qualcosa di diverso da un errore.
Non serve scomodare uno psicologo per capire che è stato commesso un errore come mille altri. Ma qui purtroppo c'è l'aggravante, c'è quell'elemento che ti inchioda e non ti lascia scampo: negro non si può dire. Neanche se pensi che sia il suo cognome. E non ti salvi, bruci nel rogo come gli eretici fra gli applausi festanti dei "corretti" moralisti. Accadeva tutto al minuto 12 del primo tempo quando il centrocampista biancorosso stava per calciare una punizione. «Negro con il numero 15... Attenzione a Negro. Scusate, attenzione a... (lunga pausa per recuperare dalla scheda delle formazioni il nome esatto) Greco.... Scusate».

 


SOLLEVATO DALL'INCARICO

Questo è bastato per sollevare dall'incarico Stefano Carta, padre di due figli che disperato pensa che un giorno i ragazzi leggeranno di avere un padre che è stato licenziato perché razzista. Stiamo veramente entrando nell'ultimo stadio della società del sospetto. Certo, siamo abituati ai moralisti corretti che ci castigano ogni volta che diciamo un maschile sbagliato, quindi c'è poco da meravigliarsi. Pensate solo a quanti schiaffi ci hanno tirato in questi giorni i difensori di Soumahoro e della suocera che non pagava i dipendenti: razzisti, razzisti! gridavano invasati. Vabbè, ce lo aspettavamo. Ma che addirittura si potesse processare un lapsus non lo immaginavo. Stiamo andando oltre le purghe staliniane. Oltre l'inquisizione di Torquemada. Vedrete che prima o poi processeranno i pensieri. Ci diranno: tu hai avuto dei pensieri gentili per Mussolini! No, no, ci difenderemo: avete capito male! È uguale, risponderanno, sei fascista: licenziata.

Se non mi credete vi dico solo che questa vicenda è arrivata in Parlamento,sede nella quale il senatore vicentino di Forza Italia, Pierantonio Zanettin, ha presentato un'interrogazione ai ministri dello sport e dello sviluppo economico. «La gaffe è imperdonabile - ha detto il senatore - Ho presentato un'interrogazione perché si valuti l'opportunità di adottare sanzioni nei confronti del telecronista. In materia di razzismo non si scherza». Ma quale razzismo senatore! La prego, non faccia anche lei l'errore di essere fagocitato nelle forche politicamente corrette, non si faccia contagiare da questa follia. La realtà è molto più semplice. C'è un uomo, un professionista che si è sbagliato, si è confuso, che non ha commesso alcun reato da dover punire. Presumo che anche lei nella vita possa aver detto qualcosa che probabilmente non pensava. Non siamo macchine perfette. Sia indulgente. Capisco che siamo in pochi a remare controcorrente, ma non per questo significa che dobbiamo finire tutti all'inferno.

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