Ferrari, Cesare Fiorio sgancia la bomba: "Binotto? No, di chi è la colpa..."
Ripercorrere vita e successi di Cesare Fiorio, 83 anni, ex pilota e direttore sportivo della Ferrari dal 1989 al 1991, è come imbattersi nelle pagine avvincenti di un libro. I cui capitoli hanno come unico denominatore il fiuto. Nel trasformare passioni (le corse del padre), nel risolvere problemi (in Ligier e Ferrari), nello scovare talenti (Fernando Alonso), nell'intercettare cicli (l'attività alberghiera tra mare e agricoltura in Puglia, con Masseria Camarda). «La prima macchina fu una Lancia Appia Zagato molto usata. La utilizzavo anche per qualche garetta», puntualizza. «All'epoca si correva con le vetture con cui si andava al lavoro, a spasso. Cominciai a correre nel 1960. L'anno dopo vinsi il titolo italiano di categoria GT. Papà correva nella Mille Miglia, con una Fiat Sport 750».
Il sodalizio con Fiat sarà di ferro: 18 Mondiali Rally con le macchine del gruppo.
«Andai da Enzo Ferrari per chiedergli i motori per la Lancia Stratos. L'avevo sempre percepito lontano, sapeva tutto. "So che fate bene spendendo poco, vuol dire che siete molto bravi"».
Una notte la chiama Cesare Romiti, deve correre in Ferrari.
«Portogallo '89. "Ho bisogno di parlarle domattina", disse. "Domani è domenica, c'è la gara, siamo ad un passo dalla vittoria", risposi. Dovetti prendere il primo aereo. Mi comunicò che dal mattino seguente avrebbero avuto bisogno di me a Maranello. Di quel lunedì ricordo ancora le parole sottovoce tra due meccanici: "Finalmente uno che mangia da sempre pane e corse, farà il suo lavoro bene"».
La Ferrari 640, le lacune da colmare, le migliorie per vincere.
«Fu la prima macchina a montare un cambio sul volante. Mancava la componente elettronica. Si rompeva. Nonostante ciò, nell'89 vincemmo 3 gare. Nel '90 furono 6, su 15 corse, e non 23 come oggi».
L'operazione con Senna sfuma. E la Ferrari sprofonda.
«C'era un accordo scritto. La Ferrari avrebbe avuto il miglior pilota di sempre. Io non l'avrei più avuto come avversario. Chi aveva preso il posto del Drake evidentemente non capiva molto di corse e non colse il senso dell'operazione. Fui bloccato. Lasciai Maranello nel '91, dopo 4 gare, perché fui ostacolato anche nelle successive iniziative. La Ferrari entro in una crisi grave da cui uscì solo dopo diversi anni».
Ha detto: «Dopo quel momento con Prost ci perdemmo di vista».
«Tuttavia, quando acquistò la Ligier, che rinominò Prost, rimasi un anno e mezzo a gestire la squadra. Fu un grandissimo stratega e pilota, ma non un grande imprenditore. Molte delle sue scelte non le condividevo. Su tutte, quella di trasferire la sede dal circuito di Nevers Magny-Cours a Parigi. Un anno dopo la scuderia fallì, lasciando a casa un sacco di gente».
Fu Flavio Briatore, in principio, a volerla in Ligier.
«Quando arrivai contendeva le ultime due file dello schieramento. La riportai al quinto posto, eravamo dietro alle migliori macchine del momento».
Sempre a Flavio farà il nome di Alonso.
«Organizzai un test con Minardi. Tra i piloti c'era questo 17enne che aveva vinto una specie di Formula 3. Jerez de la Frontera. Diluvio. Feci correre lo stesso. Fernando impressionò al primo giro. Gli chiesi di rientrare subito. "Non sto facendo niente di rischioso", disse. Gli risposi: "Bene, vai pure". Pensai: "Ecco il prossimo Campione del Mondo". Quando lasciai la Minardi dissi a Briatore: "Ti darà grandi soddisfazioni"».
Fernando guida con l'entusiasmo e lo spirito indomito dei primi giorni, a 41 anni.
«Resta un pilota estremamente competitivo. In Ferrari non trovò una grande macchina e non vinse ciò che avrebbe meritato. Ocon ha dovuto riconoscere di trovarsi dinnanzi ad un leone, e, pur bravo, ha fatto fatica. Spero che il contributo di Alonso possa ribaltare il rendimento della Aston Martin sinora scarso».
In Ferrari è tempesta, tra un Mondiale buttato via e la sedia di Binotto che traballa.
«Binotto ha realizzato una macchina competitiva e all'avanguardia, il cui ritmo di evoluzione non è stato adeguatamente compensato. Si è ritrovato uomini che hanno adoperato strategie improbabili, non vincenti. E due ottimi piloti come Leclerc e Sainz, che però hanno commesso anche loro qualche errore. Se sommiamo gli errori di gestione a quelli dei piloti capiamo perché la miglior Ferrari dal 2018 in poi non sia stata vincente come avrebbe potuto essere».
Tra Russell ed Hamilton è stato l'anno del confronto.
«George possiede talento, sbaglia poco. Potrà indirizzare anche le future vittorie di una ritrovata Mercedes. Ma il fatto che sia arrivato qualche volta davanti a Lewis, non vuol dire sia migliore».
Red Bull dominatrice con la tegola del budget.
«Verstappen ha acquisito affidabilità, è più corretto. E non sbatte più. Ritengo Helmut Marko, pilota sfortunatissimo, il miglior stratega della Formula 1, solo all'apparenza defilato. Sulla questione budget cap, il controllo delle spese è impossibile. E questa misura è stata varata in concomitanza con l'introduzione di motori costosissimi da sviluppare. La Federazione è responsabile di certe spese. Dopo la dipartita di Charlie Whiting, rapido nel prendere decisioni corrette e nel rispetto di tutti, non si è trovato nessun sostituito nemmeno minimamente all'altezza».
Chiudiamo con la sua parentesi juventina, sul finire degli anni '80.
«Quando Gianni Agnelli mi chiamo, gli dissi: "Nella mia vita sono stato solo 2 volte allo stadio". "È già qualcosa" rispose. In realtà ero andato per vedere i Dire Straits e Madonna. Disse che di esperti, alla Juventus, ce n'erano già troppi. "Ho bisogno di qualcuno che la trasformi una moderna società sportiva". Fui lieto di poterlo aiutare in quella avventura».
Quaran'tanni di corse, il record imbattuto con la Destriero nell'Atlantico, oggi imprenditore agricolo: il cerchio si è chiuso.
«Con i miei prototipi correvano piloti italiani. Penso a Patrese, Alboreto, Nannini, Pirri. Non lo fa quasi più nessuno, ne vado fiero. Ho puntato sempre al risultato migliore. Ho cercato nelle competizioni soddisfazioni che sono arrivate. Nella casella dei rimpianti non c'è spazio per niente».