Kvaratskhelia, il georgiano coi piedi di Diego voluto solamente dal Napoli
Il pensiero comune che ha accompagnato l'arrivo di Khvicha Kvaratskhelia al Napoli - georgiano quindi scarso - ricorda che l'approccio al calcio è dannatamente superficiale e troppo spesso basato sui cliché, piuttosto che sulla realtà dei fatti. Kvara, infatti, è forte anche perché georgiano, visto che trascina in campo le radici culturali del suo Paese e un vissuto che altrove sarebbe stato diverso. A differenza di molti suoi coetanei connazionali, è fortunato perché suo padre Badri è un calciatore. Nel 2001, quando nasce Khvicha, gioca in Azerbaigian, nel Semkir. Per riconoscenza, nonostante sia nato a sua volta in Unione Sovietica nella RSS Georgiana, sceglie di rappresentare la nazionale azera (tre presenze). Il bambino vive un'infanzia in cui il pallone è centrale ed è tra i pochi motivi di gioia nel perenne clima di guerra. Così, diventare calciatore non sarà solo un sogno per Kvara ma anche e soprattutto un obiettivo per restituire al padre la dose di fortuna ricevuta. Nell'agosto del 2008, l'esercito russo conquista la città di Gori (nota principalmente per aver dato i natali a Josif Stalin), a pochi chilometri da Tbilisi, dove risiedono i Kvaratskhelia. Ma da lì non si sposteranno e nella Dinamo, società della città, il ragazzo prodigio comincia a giocare fino al 29 settembre 2017, quando esordisce in prima squadra. È un'ala creativa ma al tempo stesso diretta, muscolare, solida. Perché unisce due filosofie: quella russa, che puntava a creare dei giocatori-soldati, iper fisici e performanti, e quella georgiana, a cui l'Unione Sovietica chiedeva di allevare il talento puro, l'estetica, la tecnica. La scuola russa era promossa dalla Dinamo Kiev di Lobanovski, e Kvara la assorbirà passando dalla Lokomotiv Mosca e dal Rubin, mentre quella georgiana batteva all'interno della Dinamo Tiblisi che, secondo uno studio del professor Erik Scott della Kansas University (segnalato dal bravo Thomas Novello via Twitter), aveva questa vocazione fin dal 1925. I georgiani in tempo sovietico inseguivano un senso di appartenenza globale e, come argentini e brasiliani, pensavano che il calcio potesse essere il miglior mezzo per farsi riconoscere. E l'Unione Sovietica usava la Georgia come ponte per allacciare le diplomazie in tempo di Guerra Fredda, un po' come i rivali degli Stati Uniti inviavano gli atleti afroamericani in tournée all'estero per redimersi dal razzismo.
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MENO TIMORE Kvara non è cresciuto in questo contesto socio-politico ma ne ha vissuto l'eco. Si è fatto calciatore in un club che promuove la spontaneità e le iniziative libere da timori e vincoli. Per questo, ai napoletani, le sue giocate in questi giorni sono associate con meno timore reverenziale rispetto alle abitudini a quelle di Maradona, simbolo senza tempo di un calcio primordiale dove la tecnica è primaria quanto il coraggio di affrontare un avversario, dribblarlo e servire assist (quello a Simeone contro il Liverpool è il secondo in stagione) o calciare verso la porta (già 4 reti in 6 gare tra A e Champions). L'altro elemento ricorrente nella vita di Kvara, si diceva, è la guerra che nel 2022 è tornata e ne ha condizionato il percorso professionale.
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L'AFFARE INTUITO A Napoli, il georgiano arriva anche per via del conflitto avviato dalla Russia contro l'Ucraina perché nel 2019 aveva firmato un quadriennale con il Rubin Kazan che sarebbe oggi ancora in vigore. Nel marzo 2022, dopo due stagioni e tre quarti da 69 presenze e 9 reti complessive, sfrutta la deroga concessa dalla Fifa e rescinde il contratto, anche se in Russia sostengono che la causa siano alcune pesanti critiche e minacce indirizzate alla sua famiglia, contraria all'operato di Putin. Il Napoli intuisce l'affare, offre 10 milioni alla Dinamo Batumi, che nel frattempo lo aveva ingaggiato, e si assicura il giocatore, ma in realtà la trattativa era già nata con il Rubin, a conferma che Kvara era finito in cima ai taccuini di Giuntoli da tanto tempo. Secondo Rory Smith del New York Times è «il giocatore più eccitante da guardare ora in Europa». Siamo d'accordo.