Mario Sconcerti, "il mio Mundial da senzatetto": il racconto 40 anni dopo il trionfo
«Che problema c'è». Il pretesto per questa chiacchierata è il 40esimo anniversario della vittoria azzurra in Spagna: non mi interessa sapere della partita, ormai conosciamo tutto, piuttosto raccontami le tue emozioni nel giorno della finale e in quelli precedenti. «Ah, guarda, il mio problema nei tre giorni precedenti è stato trovare un albergo. Nessuno aveva previsto che saremmo andati in finale. Prima del Mondiale accettavano prenotazioni solo per 40 notti e nessun giornale aveva osato tanto. Eravamo in giro in quattro alla ricerca di una sistemazione, preoccupati ma anche eccitati per quello che stava succedendo, un momento difficilmente ripetibile».
Siete finiti per strada?
«No, alla fine ho trovato posto all'hotel Royal, un grande albergo di fianco al Prado...».
Racconta.
«Arrivo col taxi e vedo che fuori ci sono 5mila persone in attesa».
Mica erano lì per te...
«Invece l'ho pensato! Ero talmente sulle nuvole per la finale che mi sono detto "mi aspettano perché sono italiano e vogliono omaggiarmi"».
E quindi?
«Sono sceso dal taxi, ho salutato, hanno applaudito...».
Allora erano davvero lì per te!
«Ma figurati, era solo una folla eccitata e un attimo dopo ho capito perché: entro nella hall e ci sono i Rolling Stones».
Beh, del resto tra te e Mick Jagger la differenza è minima.
«Esatto! Questo per farti capire che eravamo come dei babà inzuppati nel gin, completamente inebriati dal momento».
Chi era l'azzurro più forte.
«Tardelli. Il più universale, il miglior centrocampista in assoluto. Come numero 8, non 10. Poi Scirea, un fuoriclasse. E a parte loro due ce n'era uno completamente sottovalutato: Antognoni. All'epoca non ce ne siamo accorti perché non giocava nelle grandi».
A proposto, com' è il rapporto con lui? Ai tempi della tua esperienza da dirigente della Fiorentina avete litigato di brutto...
«Abbiamo messo tutto a posto. Figurati, l'ho conosciuto alla stazione di Perugia 50 anni fa, mi portò la sua pagella. Ogni tanto possiamo litigare ma poi facciamo pace».
...E poi c'era quel fenomeno di Rossi. Oggi un giocatore di 60 chili come lui riuscirebbe a stare nell'Olimpo dei grandi? Ci vogliono i muscoli...
«Nel calcio moderno i muscoli fanno molto, del resto è più facile migliorare il fisico della tecnica. In ogni caso le fortune di una squadra passano sempre per le giocate dei due o tre più dotati tecnicamente».
Gentile con il var come avrebbe fatto?
«Lui sostiene che non picchiava, semmai anticipava. Io me lo ricordo diversamente... Però era intelligente, studiava gli avversari e cercava di fare il possibile per anticipare, prima però li lavorava alla schiena...».
Di recente hai scritto "Non è un caso che Valcareggi, Trevisan, Maldini, Bearzot fossero tutti nati uno a un passo dall'altro, nell'estremo nord-est del Paese. Non contava il talento, contava un'idea comune, un dialetto, una cultura di vita vissuta insieme". Cos' è cambiato da quell'idea di calcio "pane & salame", sicuramente più semplice ma anche così "vera"?
«Due cose soprattutto. La prima è la sentenza Bosman del '95, ci ha riempito di stranieri. L'altra l'avvento della tv nel calcio. Alla fine degli Anni 90 si iniziano a vedere le partite in tv, fino a quel momento il calcio era un fenomeno clandestino. Vedevi due partite al mese allo stadio e solo della tua squadra. Sentivi parlare di Rivera e Mazzola ma non li vedevi mai. La bellezza del calcio era questa, parlavi di cose che non conoscevi e tutti avevano ragione perché nessuno aveva visto niente».
Che pacchia...
«Il calcio in tv ci ha condannato alla competenza. In più ora si scommette sulle partite, altra competenza. E poi c'è il fantacalcio, una piccola scienza che ha aumentato ulteriormente conoscenza e desiderio. Quarant' anni fa se avevi un figlio dicevi "spero che un giorno diventi Presidente della Repubblica", oggi appena tocca un pallone ti auguri che diventi un calciatore».
D'accordo, forse ora i calciatori sono più "visibili", ma rispetto ai tuoi tempi sono diventati più, come dire, inarrivabili. O se vogliamo più stronzi.
«Io sono diventato giornalista professionista a Milano. Era l'anno di Invernizzi all'Inter. Sai quante volte andavo al campo con Mazzola o Burgnich, oppure andavo all'andata con un collega e tornavo in macchina con un giocatore? Facevamo partitelle in continuazione tutti assieme. Una volta tornando da una trasferta a Verona, Burgnich mi ha chiesto un passaggio, l'ho caricato sulla Mini e ci siamo fermati per strada a mangiare una fetta di cocomero a un baracchino».
Anche i giornali erano diversi, vendevano centinaia di migliaia di copie. Il Corriere dello Sport il giorno dopo la finale bruciò 1,6 milioni di copie, oggi un milione non lo raggiungono tutti insieme, i quotidiani.
«Beh, oggi non esiste più il giornale in quanto tale, esistono marchi che hanno a disposizione network con dentro ogni cosa: il sito, la tv, il podcast, la radio. Li devi valutare come marchio. Le copie continueranno a diminuire, ma non diminuirà l'autorevolezza. Nel 2001 ho lasciato il Corriere dello Sport a 300 mila copie, oggi è forse a 40mila, ma l'autorevolezza nelle sue zone l'ha mantenuta. Se i primi 10 siti per contatti fanno riferimento a giornali qualcosa vorrà pur dire».
Oggi un quotidiano sportivo non può prescindere dal calciomercato. Cosa ne pensi? Ti affascina o ti annoia?
«Io ho un vantaggio, faccio questo mestiere da tanto tempo e non voglio leggere le notizie di nessuno, mi piace anticiparle. La tendenza di oggi è che il giornale sportivo debba parlar bene di tutti, al contrario il giornale dovrebbe dar voce a una parte e all'altra. Ormai ci si limita a dire al tifoso quello che vuole sentirsi dire».
Tu il lunedì sul Corriere riesci a dire sempre una cosa originale, magari contestata ma originale.
«Le tempistiche dei quotidiani impediscono di fare riflessioni approfondite e allora mi faccio solo due domande: "Qual è la vera notizia di oggi?". Di solito è il risultato della partita di una delle grandi squadre. La seconda riflessione in genere è consequenziale: "Cosa ha portato a questo risultato?". Il resto lo fa la totale libertà d'opinione perché a me, credimi, non frega niente di nessuno».
Un giorno hai scritto: "Temo che Cristiano Ronaldo a Torino farebbe o il tornante o la riserva". Ti hanno massacrato per questa uscita.
«Eccome. Il pezzo era dedicato a Mandzukic e alla sua stagione da "sacrificato" sulla fascia. Intendevo dire "Ronaldo non farà l'ala". Visto come è andata a finire non ci sono andato troppo lontano».
I grandi capi del calcio dicono che bisogna trovare soluzioni immediate o il sistema crollerà...
«Non ho grande fiducia nei grandi capi del calcio, sono competenti sul presente ma non capiscono il cambiamento».
Altri "grandi capi" dicono che il calcio vada cambiato, velocizzato, perché i giovani si annoiano e scappano.
«Non bisogna andare troppo incontro alla gente, la gente va educata. Oggi i tifosi fanno propaganda da soli, si dicono le cose tra loro, invece dovrebbero essere stimolati».
A proposito di "i tifosi fanno propaganda da soli", cosa pensi dei social?
«Trovo che siano una grande conquista. Io non ho social, me li gestiva mia figlia perché non sono molto tecnologico, ma era un impegno e spesso mi offendevano, allora mi sono detto "occhio non vede, cuore non sente", arrivederci e grazie».
Beh, allora non ti piacciono.
«Al contrario, la gente che per anni e anni ha dovuto ascoltare soltanto quello che dicevano cento selezionatissime persone, oggi ha il diritto di dire il cazzo che vuole. Con tutti gli eccessi del caso: non è vero che l'uomo è buono, semmai è cattivo, ma è giusto che si possa esprimere. Al limite, ripeto, le persone andrebbero stimolate di più».
Qualche mese fa hai detto che il Milan aveva "più sentimento" dell'Inter, personalmente non ero affatto d'accordo, ma poi lo scudetto lo hanno vinto i rossoneri.
«L'Inter era più forte, il "di più" il Milan ha dovuto trovarlo dentro di sé e ce l'ha fatta».
Chi sta lavorando meglio tra le grandi al momento?
«L'Inter. Il colpo Lukaku è straordinario, ma ne ha "nascosti" altri due che non sono da meno. Mkhitaryan sa fare tutto, ogni tanto va in letargo ma sorprenderà ancora. Asllani l'ho seguito la passata stagione: mi ha impressionato, sa sempre cosa fare, è un grande giocatore».
Meglio Lukaku all'Inter o Pogba alla Juve?
«Lukaku ha portato uno scudetto quasi da solo, Pogba è meno determinante. Un bel giocatore, ma sopravvalutato».
Vlahovic è un traditore?
«Ma no! È uno straordinario affare della Fiorentina! A 70-80 milioni si deve vendere qualunque giocatore».
Chi è il giocatore più forte oggi?
«Kevin De Bruyne».
E quello più sopravvalutato?
«Ronaldo».
Il miglior allenatore di ora e di sempre?
«Oggi senza dubbio Guardiola, Rinus Michels il migliore di tutti i tempi».
E il dirigente?
«In un ruolo in cui bisogna essere "ambigui", Allodi è stato senza dubbio il più grande».
Il tuo sport preferito?
«Beh, il calcio è l'amico della vita, ma mio padre era un grande procuratore di boxe, ho seguito i suoi incontri e a quel livello era una cosa devastante e meravigliosa».
Meglio giocare bene ma arrivare secondi o essere meno belli e vincere, magari con un po' di culo?
«Conta il risultato. Il bel calcio è una poesia, ma è inutile se non sfocia nel risultato».
Perché in un mondo che ormai ha sdoganato ogni genere di rapporto, nel calcio resiste il dogma dell'eterosessualità?
«Ah, guarda, reggerà sempre di più. Un tempo dipendeva dal fatto che il calcio era una Repubblica di destra, oggi invece i giocatori badano alla convenienza, la sincerità è scomoda e divisiva, preferiscono evitare problemi e incassare denaro».
Mi faccio un po' i fatti tuoi e ti saluto. È vero che vai a dormire all'alba?
«Mi addormento alle 7 del mattino e mi sveglio alle 16 con la prima radio che mi chiama, un vecchio vizio conseguenza del mio mestiere. Del resto un tempo i quotidiani chiudevano alle 4 e lì iniziava la giornata: si giocava a carte, si parlava di politica o di calcio, tornavo a casa alle 7. Ti dirò, mi è costato un matrimonio, poi ho trovato una nuova moglie nell'ambito del giornale e ha funzionato, siamo insieme da 43 anni».
Chi hai votato alle ultime elezioni?
«Partito Democratico».
È vero che un tempo con questo mestiere si diventava ricchi? Tu sei ricco?
«Sto bene. Ho una casa al mare e una buona pensione. Il mio problema è stato che ho dato troppe volte le dimissioni e spesso ho lavorato gratis. Per esempio quando ho fatto il dirigente alla Fiorentina».
Cecchi Gori non ti pagava?
«Non c'erano soldi, però è stato il periodo più bello della mia vita: guidare quella che posso definire "la più grande amante della mia vita" è stato un grande divertimento».
Mario, ti reputi al livello dei giganti di questa professione? I tuoi amici Brera e Mura, per intenderci.
«No, abbiamo poco in comune. Loro avevano il loro linguaggio e sono inimitabili. Io ho il mio ed è molto diverso. Per come la vedo io uno scrive bene se pensa bene. Io non sono un descrittore, sono un pensatore».