Koulibaly abbandona Spalletti, Napoli esplode: cosa sta succedendo, voci dallo spogliatoio
Il paradosso del Napoli è che il ridimensionamento coincide con l'anno del ritorno in Champions League, ovvero quando nelle casse del club piovono più soldi (almeno 40 milioni). La società, dopo anni di conservazione del gruppo che sfiorò lo scudetto con Sarri, ha pensato che il ciclo fosse terminato e che servisse una tabula rasa. La stranezza è che questa decisione non arriva dopo un'annata fallimentare ma dopo la migliore delle ultime tre (settimo posto, quinto e ora terzo) e a metà del contratto con Luciano Spalletti, non all'inizio o alla fine. Il teorico anno del progresso diventa quindi quello della rivoluzione.
Il nuovo ciclo nasce però nel segno del risparmio. Non comunica una rinnovata ambizione ma una spasmodica attenzione ai conti. Di fatto suggerisce un ribasso rispetto alle abitudini dell'ultimo decennio, come se l'obiettivo non fosse più vincere ma posizionarsi. De Laurentiis ha scelto questo momento per cambiare strategia perché sarebbero terminati i pesanti contratti di Insigne e Mertens da 4,5 milioni, guarda caso i più alti dopo Koulibaly (6 milioni). Dunque l'opera di taglio dei costi di almeno un 15% resasi necessaria dopo il biennio senza Champions combinato all'handicap pandemico, si è avviata in modo naturale. Il presidente ha colto la palla al balzo, proponendo senza paura rinnovi al ribasso (anche della metà rispetto ai contratti precedenti) nell'idea che un eventuale svincolo dei totem non sarebbe stato una tragedia, anzi avrebbe certificato la tardiva chiusura del ciclo sarrista.
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L'EX CAPITANO AL TORONTO
Così è andata per Insigne. L'ormai ex capitano ha salutato per orgoglio personale, accettando un calcio minore a Toronto ma un contratto in linea con il precedente (che era di 4,6 milioni netti a stagione). E così potrebbe andare per Mertens che è svincolato da dieci giorni e, a detta del direttore sportivo Giuntoli, «non ha accettato un'offerta del presidente da 2,5 milioni netti» per un anno. Forse per evitare un totale smantellamento dei leader, De Laurentiis si è auto-imposto un'eccezione alla regola con Koulibaly, per cui sarebbe stato proposto «un quinquennale da sei milioni all'anno, senza bonus, più un futuro da dirigente».
Fosse vero lo spoiler di Giuntoli, il rifiuto del difensore certificherebbe la volontà di cambiare aria, se è vero che il nuovo contratto sarebbe in linea con il precedente nonostante i 31 anni compiuti. L'agente Ramadani starebbe quindi dialogando con la Juventus su indicazione di Koulibaly, non il contrario e questo indispettisce DeLa che, in risposta, promette di perdere il giocatore a zero tra un anno piuttosto che venderlo ai bianconeri (che offrono 30 milioni una volta ceduto De Ligt).
Il Napoli ha tante, troppe situazioni delicate da gestire. Anche il contratto di Fabian Ruiz scade nel 2023 come quello di Koulibaly e anche se ha un ingaggio nei parametri (1,5 a stagione), il Napoli preferisce venderlo. «Si sta guardando attorno per portare qualche offerta», ammette Giuntoli. È chiara l'intenzione di fare cassa anche con Politano e Demme (interessa alla Roma). L'unico apparentemente convinto di restare è Osimhen, eccezione (da 4,5 milioni a stagione) che confermerebbe la regola del risparmio.
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EREDE DI LEWANDOWSKI
Ma è anche il pezzo da novanta sul mercato, l'unico che porterebbe un buon bottino: il Bayern lo ha scelto infatti come erede di Lewandowski, che vuole andare al Barcellona, e offrirebbe 70 milioni a fronte di una richiesta nemmeno troppo velata di 100 del Napoli. La contraddizione di Osimhen è emblematica: restare come leader di una nuova squadra o salutare proprio perché la squadra è nuova e sulla carta inferiore alla precedente? D'altronde gli ultimi arrivati Kvaratskhelia e Olivera sono da scoprire e Barak (Verona), Deulofeu (Udinese) e Kostic (Francoforte), obiettivi indicati da Spalletti nel rispetto della disponibilità economica della società, sono ottimi giocatori ma tutti da verificare ad un livello da Champions, ovvero quello che il Napoli vorrebbe conservare. Andando avanti così, però, rischia di diventare una pretesa più che un obiettivo.