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Josè Mourinho non è un pirla e non lo sarà mai: perché la sua Roma ha già vinto

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Fabrizio Biasin
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Ti danno del bollito. E tu li senti. Fai finta di niente, ma li senti eccome. Sono quelli che non riuscendo a vincere una mazza per i fatti loro, allora sperano che tu li raggiunga all'inferno. Per un po', tra l'altro, hanno ragione loro, i detrattori, perché la tua Roma, José, non è che lasciasse grandi speranze. E tu, José, parevi un vecchio bisbetico. Poi è andata come sappiamo, con la Roma che diventa "squadra" e conquista la finale di Conference League.

 

 

E qualcuno dice «La Conference League conta meno del Trofeo Birra Moretti», come se potessimo permetterci di snobbare una qualsivoglia competizione continentale. Ma non è questo il punto. Il punto, cari tutti, è che José Mourinho ha già vinto e non è una questione di Coppe da alzare, ma di entusiasmo generato e moltiplicato. I tifosi della Roma, quest'anno, ci sono stati sempre, nel bene e nel male. E quando il male era "malissimo", comunque si sono fidati della loro guida.

 

 

E sono andati persino oltre il Circolo Polare Artico (la Roma regalerà il biglietto per la finale ai 166 eroi "norvegesi", bravissimi) e hanno riempito il loro stadio e quelli altrui, fino all'apoteosi di ieri l'altro, con l'Olimpico traboccante di giallo e di rosso che regala un'immagine bellissima all'Europa del calcio. E questo è merito del bollitissimo - commosso a finale conquistata - e di chi lo ha riportato in Italia. Non sappiamo come andrà a finire l'ultimo atto in programma a Tirana il prossimo 25 maggio, quello contro gli olandesi del Feyenoord, ma, titulo o non titulo, un tizio ha già la coscienza a posto: è portoghese, non è un pirla.

 

 

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