Alex Schwazer a Pechino Express: "Ero schiavo e drogato di vittorie", una drammatica confessione
Alex Schwazer concorrente di Pechino Express. Quando l'abbiamo appreso, i pensieri sono stati due: «Questo i 7mila km se li fa a piedi» (copyright Victoria Cabello) e «Sarà il suo riscatto». In realtà non è vero né l'uno né l'altro. A Pechino Express, in onda su Sky Uno ogni giovedì sera (sì, esatto: adios cara RaiDue), Schwazer i passaggi in macchina li ha presi eccome, ma soprattutto non era in cerca di alcun riscatto. Come si ricorderà, il celebre marciatore olimpionico è appena uscito da una shit storm giudiziaria: accusato di doping nel 2016, è stato assolto solo qualche tempo fa. «Ho scelto di fare Pechino Express perché mi piaceva l'idea di viaggiare alla vecchia maniera», assicura.
Onestamente? Non le credo.
«Invece è così. Il mio riscatto l'ho già avuto anni fa quando, nonostante la causa ancora in corso, mi sono sposato e poi sono diventato padre. È lì che mi sono rifatto: il riscatto va cercato nella propria vita personale. Il mio è la famiglia».
Però converrà che Pechino Express è una meravigliosa operazione simpatia: lo show mostra un nuovo lato dei vip, i concorrenti sono tutti simpatici e amabili. Davvero il pensiero non l'ha mai sfiorata?
«Guardi, le assicuro: ormai non sono più concentrato sull'opinione pubblica. Poi, certo, è chiaro che da Pechino Express emerge la mia personalità: è un adventure game ma anche un reality dove siamo stati ripresi 24 ore su 24, tutti i giorni, senza pause. Ma io l'ho vissuto come un effetto collaterale, non come la ragione della mia partecipazione».
Sulla sua vita lei ha scritto un'autobiografia, precisando: «Chi vuole leggere una biografia di un uomo senza peccato, ne cerchi un'altra». Oggi, guardandosi indietro, si è perdonato e ha perdonato?
«Sì, assolutamente. Tra l'altro il perdono è l'unico modo per poter guardare avanti. Se rimugini sempre sul passato, non ne vieni più fuori».
Lei è stato indagato per doping due volte. La prima accusa era fondata. Cosa ha spinto un atleta talentuoso come lei a barare?
«Tutto è nato dall'Olimpiade di Pechino 2008: dopo la vittoria mi sono sentito arrivato. L'Olimpiade è infatti il sogno di qualsiasi atleta e io non solo ci arrivai giovanissimo ma vinsi anche. Così persi lo stimolo: sono andato avanti con sempre meno passione, a forza, cadendo in depressione. Ho provato quindi a cambiare allenatore, poi città, ma niente. Così mi sono giocato l'ultima carta: il doping. È stato un periodo durissimo anche perché mentivo a tutti: mi vergognavo per quello che stavo facendo».
Come ne è uscito?
«La squalifica è stata la mia fortuna perché mi ha permesso di fermarmi per quattro anni e di affrontare i problemi».
Scusi, ma non poteva farlo già lei, da solo, molto prima?
«Avrei dovuto, certo, ma la vita dell'atleta non prevede mai degli stop: anche quando vinci devi subito andare avanti, migliorarti, fare sempre di più. Un traguardo dietro l'altro. Non potevo abbassare il ritmo».
L'agonismo, inteso come continua spinta alla vittoria, può insomma dare dipendenza?
«Sì, assolutamente. La vittoria può diventare la tua droga soprattutto se sei un atleta di alto livello. In quel caso lo sport non si esaurisce con gli allenamenti ma assorbe tutta la tua vita: per esempio devi mangiare in un certo modo, non puoi andare in discoteca tutte le sere... Da atleta, io non conoscevo altro che l'atletica. Solo quando sono stato squalificato ho potuto fare altro e, a quel punto, riscoprire la mia passione per lo sport. Infatti tornai a marciare. Avere una vita solida ti rende uno sportivo migliore». ..
.O, in alternativa, avere un buon analista?
«Io sono più per i veri amici e la famiglia. Anche perché lo psicologo, per quanto bravo, non sa cosa vuol dire trovarsi alla partenza in un'Olimpiade dove tutti si aspettano che tu vinca. E pure tu lo pretendi da te stesso».
Poi però è arrivata la seconda accusa di doping, nel 2016. Stavolta falsa. Secondo lei chi voleva incastrarla e perché?
«Credo abbiano colpito me per colpire il mio allenatore che, in quegli anni, aveva denunciato molte persone. Almeno, io me la spiego così».
Le ha seguite le ultime Olimpiadi di Tokyo, l'anno scorso?
«Qualcosa, ma non la marcia, anche perché era a orari improbabili».
La sua squalifica scade nel 2024: è ancora in tempo per partecipare alle prossime Olimpiadi? «No, non ci sono i tempi tecnici perché io possa qualificarmi». Le mancano le gare?
«Ormai fanno parte del mio passato. Oggi alleno podisti amatoriali, che sono spinti dalla vera passione, e sono felice così». Con loro si respira meno competizione "tossica"? «Be', ho conosciuto gente che avrebbe fatto qualunque cosa per battere il collega d'ufficio! (ride, ndr) Ma non i miei allievi, loro sono spinti dall'amore per lo sport».
Posso chiederle se, alla luce della sua esperienza, lei è a favore della legalizzazione delle droghe leggere?
«Il doping non è droga, tant' è vero che io prendevo l'Epo che non dava nemmeno dipendenza. Nella mia vita non mi sono mai fatto nemmeno una canna. Detto questo, sono contrario alle droghe leggere perché sono sostanze che danno comunque dipendenza».
È vero che si sta lavorando a una docu sulla sua vita?
«Non posso scendere nei dettagli, perché il titolo non è stato ancora annunciato ufficialmente, però sì: sono e sarò coinvolto in una docu che ricostruisce la mia carriera».
Non teme di alimentare nuove polemiche?
«Oggi non mi spaventa più nulla. Mi hanno osannato e poi buttato a terra così tante volte che ormai sorrido alle critiche».
Dopo Pechino Express ci potrebbe esserci un futuro televisivo per lei?
«Sarebbe bello ma sono un po' scettico per via della mia "erre" moscia...».
E allora? Facciamo così: scelga uno show tra Grande Fratello Vip, Ballando con le stelle e Masterchef.
«Gf Vip mai nella vita: non mi interessano i programmi dove si litiga e basta. Ho scelto infatti Pechino perché aveva anche una valenza divulgativa. Amo ballare ma magari mia moglie non gradirebbe se danzassi con un'altra donna. Quindi scelgo Masterchef anche perché amo cucinare. E mangiare».
Lo so. Ma ho anche letto che i suoi piatti preferiti sono il riso al latte e il fegato alla veneziana. Mi perdoni ma non ci siamo proprio...
«Scelgo quindi altro?».
Meglio.
«Va bene allora sarò sincero: fin da piccolo il mio grande sogno è fare il commentatore sportivo. Se c'è un campo dove sono preparato, sono le discipline sportive: non solo atletica ma anche sci, calcio... Mi piacerebbe molto prendere parte a un programma sportivo».
Intanto a Pechino Express fa coppia con il medico sportivo Bruno Fabbri, autore del libro Il sesso come sport. Meditate di lanciare una nuova disciplina olimpica?
«No, no! (ride, ndr) Bruno ha tantissimi talenti, ha persino studiato al conservatorio. Ho scelto lui come compagno di viaggio perché in sua compagnia ti diverti e impari un sacco di cose. Non c'è altro: giuro!».