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Casey Stoner-choc: "Più andavo forte in pista, più volevo morire". Come lo aveva ridotto la MotoGp

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Lorenzo Pastuglia
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“Le patologie che ho avuto nella mia vita? C’erano dei giorni che ero ‘malato come un cane’, poi c’erano quei weekend dove più forte andavo in pista, più volevo morire”. Esordisce così Casey Stoner al podcast Gypsy Tales. Lo fa tornando a parlare dei due mali — l’affaticamento cronico e l’ansia, diagnosticata solo in seguito — che lo hanno fatto a pezzi fisicamente e mentalmente durante e dopo le sue gare nel Motomondiale, dove conquistò due titoli Piloti MotoGP con Ducati e Honda nel 2007 e 2011. “Dell’ansia prima non sapevo fosse un fattore — ha aggiunto l’australiano — Onestamente pensavo fosse solo qualcosa che la gente dicesse per dire, un altro modo per essere stressati. Tutti si stressano”. 

 

E quando l’ansia arriva “anche la mia schiena si blocca, la sento tra le scapole — ha spiegato ancora al podcast Gypsy Tales — La percepisco quando non mi sento tranquillo. Sarebbe stato più facile nella mia carriera se l'avessi saputo e avessi potuto gestire meglio la situazione. È stato un brutto colpo essere chiuso con le persone e i media, perché non sono mai stato tranquillo di fronte a loro. Le folle non mi hanno mai messo a mio agio”. Le ultime due stagioni per fatiche e dolori (Stoner ha detto addio alle corse a fine 2012, ndr), sono state terribili: “Più il weekend era migliore e andavo forte, più volevo morire. Mi sdraiavo sul pavimento del mio motorhome, raggomitolato, con i nodi allo stomaco. Non volevo correre. Non potevo sentirmi peggio”. 

 

 

E ancora: “Avevo una grande apprensione. Avvertivo la pressione della squadra, di tutti quelli che mi avevano aiutato. Avevo un team di 70 persone lì, e soprattutto quando sei il pilota numero uno e tutti si aspettano che tu vinca ogni fine settimana, questo ha influito tantissimo su di me". L’australiano si è reso conto “solo dopo aver finito la mia carriera del perché facessi così tanta fatica. Poi ho avuto il mio piccolo mantra negli ultimi due anni, che era: ‘Puoi fare solo quello che puoi fare, e non puoi fare più di così’”. Per poi concludere: “Sono stato molto bravo a ritirarmi. Non importa quanto male, quanto nervoso e quanto pentito fossi. Sono stato molto bravo a dirmi di ingoiare il rospo e andare avanti sulla mia strada".

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