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Dino Zoff, le profezie: "Lo scudetto? Sembra dell'Inter, ma...". E su Vlahovic: "Dove può arrivare"

Leonardo Iannacci
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Cos' è un ricordo? Qualcosa che hai ancora o che hai perduto per sempre? Sorride, al quesito, Dino Zoff da Mariano del Friuli, anche perché gli 80 sono alle porte (li compie il 28 febbraio) e i 40 della festa per il mundial di Spagna '82 gli ricordano una perduta felicità che si è trasformata in mito. L'uomo che, con la Coppa del Mondo tra le mani, ispirò un'opera di Renato Guttuso non vive di iperboli né ama i superlativi: «Come mi definirei? Sono un uomo di sport. E basta». È in buona forma: «Golf e cyclette mi aiutano a stare bene. Il calcio lo seguo, certo. Mi piace ma, ogni tanto, mi fa anche un po' arrabbiare. Per esempio quando vedo certe sceneggiate tra i calciatori. Oppure se il Var esagera, e lo fa troppo spesso».

Zoff, ci tolga una curiosità: perché ha titolato la sua autobiografia "Dura solo un attimo la gloria"? Lo pensa davvero?

«Perché quella dell'11 luglio 1982 è soprattutto nei ricordi di chi c'era. Nella mia mente è incastonata in tre flash».

Ce li svela?

«Mi rivedo con la coppa tra le mani. Poi, poco dopo, quando non partecipo alla festa con la squadra in hotel e mi rifugio in stanza a fumarmi una sigaretta con Gaetano. Infine quando ho giocato, e perso, a scopone in coppia con Pertini sull'aereo di ritorno».

Scirea era suo fratello di sangue?

«Aveva uno stile unico. Possedeva una coscienza molto simile alla mia».

Chi ha più di 50 anni oggi ne è certo: la vera, grande vittoria fu quella di Madrid, non quelle di Berlino 2006 o Londra 2021...

«Sbagliato. Chi vince ha sempre ragione. La nazionale di Lippi e quella del Mancio hanno realizzato imprese altrettanto incredibili».

Per tante persone, Spagna '82 ha qualcosa di più...

«Eh, questo mi fa piacere. Diciamo che vincere un mondiale segnando 10 gol nelle 4 partite decisive, esprimendo un calcio spettacolare simile a quello del Brasile di Pelè del 1970, fu qualcosa di unico».

Quella nazionale era composta da mezza Juventus. Virata sull'oggi: come vede la Vecchia Signora che è, attualmente, fuori dalla zona Champions?

«La vedo bene, soprattutto dopo i colpi di mercato in questi giorni. Vlahovic è un mezzo fenomeno, può diventare un grande centravanti moderno anche ad alti livelli. Zakaria mi sembra il rinforzo giusto a centrocampo e Gatti il difensore del futuro da giugno».

Rivoltata come un calzino, la Juve dove può arrivare?

«Molto più in alto rispetto a dove si trova ora. La rifondazione era iniziata così così negli anni di Sarri e Pirlo. Con Allegri la Juve era partita male anche quest' anno ma correggere gli errori è intelligente. Lo scudetto sembra dell'Inter anche se, con i tre punti, può cambiare tutto. Difficile ma non impossibile».

Il Napoli è in corsa?

«Certo. Ora che recupera Koulibaly e Anguissa, farà paura. Anche all'Inter che ha il derby, la trasferta a Napoli e poi la Champions contro il Liverpool».

Allegri è un mister pratico come il suo Bearzot?

«Nello sport contano i numeri e, quindi, chi vince. L'Olanda del 1974 e del 1978 giocava divertendo ma non ha vinto un Mondiale».

A proposito di Mondiale, che succede a marzo?

«Sono molto fiducioso: ci siamo bruciati già due possibilità, contro la Svizzera e in Irlanda. Non bucheremo la terza».

L'uomo talismano del Mancio?

«Immobile».

Donnarumma è il Dino Zoff del nuovo millennio?

«Alla sua età non ero forte come lui. Davvero».

Torniamo al 1982?

«Pensa di farmi un torto?».

Vero che avete vinto quel Mundial perché giocavate contro i giornalisti che vi avevano impiombato di critiche?

«Ma no. Giocavamo per vincere. Ci credevamo, non eravamo una generazione che faceva proclami e basta: poche parole, pochi tatuaggi, tanta serietà nel lavoro e, poi, via in campo a dare tutto».

Un ricordo della finale?

«Scirea e Bergomi nell'area tedesca in occasione del secondo gol. E dicevano: l'Italia fa catenaccio».

In Argentina, quattro anni prima, meritavate già il mondiale?

«Sì. Colpa dei miei errori contro l'Olanda se siamo arrivati solo quarti».

Bearzot, un papà?

«Un signore, un grande comandante. Merito suo se abbiamo vinto il Mondiale. Enzo non ha avuto abbastanza riconoscenza dal calcio».

Cosa ricorda di Pablito?

«La sua simpatia, la sua intelligenza, la sua velocità di pensiero. In campo e nella vita».

I tre giocatori più forti contro cui ha giocato?

«Riva, Cruijff e Maradona».

Stiamo parlando da un'ora. Ma lei non era un taciturno?

«Eh, si cambia. All'epoca molte cose le tenevo per me. Poi, in Spagna, quando decidemmo di fare il silenzio stampa, mi presi la responsabilità di parlare io con i giornalisti. Ero il capitano, dovevo fare un passo in avanti, dare l'esempio. Ci aspettava la gloria». Sono passati 40 anni e Dino Zoff, da Mariano del Friuli, non è ancora uscito da quel tunnel. E noi con lui. 

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