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Olimpiadi invernali, la profezia di Gustav Thoeni: "Sofia Goggia può stupirci"

Leonardo Iannacci
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Da bambino avrebbe voluto sciare come Toni Sailer, leggendario olimpionico austriaco degli anni '50. Era il suo mito. Ora, passati i 70, gli basterebbe scendere da un ghiacciaio come faceva lui stesso, Gustav Thoeni da Trafoi, il re dei ghiacciai negli anni ruggenti e gloriosi della Valanga Azzurra. Questo signore gentile che sorseggia un caffè nel suo hotel, il Bellavista (a Trafoi, Bolzano), ha in bacheca tre medaglie olimpiche, quattro coppe del mondo, quattro campionati mondiali e un primato sociale: ha contribuito a mettere gli sci ai piedi di mezza Italia ben prima di Tomba. Per ispirarsi al suo stile e a quello degli altri eroi della Valanga Azzurra Gros, Radici, Pietrogiovanna, Stricker, Schmalzl, Plank e De Chiesa - quanti di noi, timidi nei primi arruffati spazzaneve, sognavano le Settimane Bianche in quei lontani anni 70? L'orologio del tempo ricorda a Gustav che è trascorso mezzo secolo da una delle sue più belle imprese: la medaglia d'oro vinta alle Olimpiadi di Sapporo del 1972, in gigante. «Cinquant' anni? Cavoli, mi sembra ieri. La vita va più veloce di quanto pensiamo. Certo che, oggi, mi piacerebbe mettere gli sci e andare come nel 1972. Ma non ci riesco ovviamente più, scendo senza fare follie con i miei nipoti e mi diverto ugualmente. Lo sci è dentro di me, sempre». Accanto a Gustav, in questi giorni di inizio febbraio con le Olimpiadi di Pechino alle porte, c'è Ingrid: «C'è sempre stata. È stata la mia prima e ultima fidanzata, è diventata mia moglie. Abbiamo tre figli e undici nipoti. Una tribù».

 

 

 

Thoeni, le Olimpiadi di Pechino che iniziano il 4 febbraio richiedono un doveroso pronostico da campionissimo. Partiamo dagli uomini? Quale azzurro vede sul podio?

«Fossimo al casinò punterei su Paris in discesa e su Vinatzer in slalom. Possono vincere una medaglia, non so quale, ma li vedo bene. E poi Razzoli, ha 37 anni ma alle Olimpiadi più succedere di tutto, anche l'imponderabile».

Discorso azzurre: la sfortuna ha colpito Sofia Goggia in modo perfido. Possibilità zero di medaglie per Sofia?

«No, perché? Si sta curando, il tempo gioca a suo favore. Lei è forte e determinata, chiaramente non sarà al top ma ha speranze».

Altre due fiches sono da puntare su...?

«Ovviamente sulla Brignone in tre gare: gigante, supergigante e combinata. Ma occhio alla Bassino in gigante».

Che Olimpiadi si annunciano?

«Saranno Giochi dell'altro mondo, anche densi di incognite visto che saranno blindati a causa del maledetto Covid. Si gareggia lontano dalle nostre Alpi o da montagne del Nord America che conosciamo bene. Saranno simili a quelli di Sapporo del 1972».

Dove Thoeni diventò leggenda.

«Ero tra i favoriti. Fu bello, vinsi l'oro in gigante e l'argento in slalom, dove mi ritrovai sul podio, con il bronzo al collo, mio cugino Rolando. Per Trafoi fu una giornata indimenticabile».

Quattro anni dopo, a Innsbruck, andò meno bene...

«In gigante non so cosa mi capitò, finii quarto sciando male. In slalom rivinsi l'argento e l'oro andò a un italiano, Gros».

Thoeni e Gros, due grandi campioni rivali sulla neve. Come Saronni e Moser? Rivera e Mazzola? C'era gelosia tra voi?

«Ma no. Eravamo amici e lo siamo tuttora, ci sentiamo spesso e l'unico rimpianto è che viviamo distanti, Pierino sta in Piemonte. Ma ci siamo fatti una promessa: prima o poi ci faremo una bella sciata insieme».

Un ricordo della Valanga Azzurra?

«Nel 1974, A Berchtesgaden, dove Hitler aveva il suo Nido dell'Aquila, cinque italiani arrivarono nei primi cinque dello slalom: Piero, io Stricker, Schmalzl e Pietrogiovanna. Incredibile, no?».

Lei ha gareggiato sino al 1980 ma resta storico lo slalom parallelo con Stenmark in Val Gardena. L'Italia si bloccò davanti alla tv. Fu quello il giorno più bello?

«L'aver piegato Ingmar, il più grande slalomista della storia, fu una bella soddisfazione. In realtà non lo battei in pista, Stenmark cadde e vinsi la quarta coppa del mondo del 1975. Era la quarta».

Negli anni successivi l'abbiamo ritrovata nelle vesti di allenatore di Alberto Tomba. Mai visti due tipi così diversi lavorare insieme.

«Un introverso e un estroverso possono trovarsi bene, sa. Si completano. Sfatiamo i tabù».

 

 

 

Mai avuto problemi ad allenarlo?

«No. Alberto è stato un grandissimo professionista. All'inizio non lo capivo quando diceva: "Gustav, io non vado a letto alle 10 come te! Gli allenamenti mattutini non potremmo iniziarli un po' più tardi invece che alle 7?" Piano piano ci siamo sintonizzati. Partivamo per i ghiacciai un'ora dopo, la mattina».

Idealizziamo una gara con la macchina del tempo tra lei, Sailer, Stenmark e Tomba, chi vincerebbe?

«Impossibile dirlo. Ai miei tempi non esisteva la neve artificiale e gli sci da slalom erano lunghi più di due metri, ora misurano 1,65. Era tutto diverso, a partire dai materiali e dagli allenamenti».

Oggi non basterebbe più il suo mitico passo-spinta con il quale umiliava gli avversari?

«Quello era un accorgimento per curvare meglio in slalom senza perdere centesimi preziosi».

Cosa chiede alla vita, oggi?

«Che il Covid se ne vada via per sempre: i vaccini hanno fatto molto qui in montagna. Abbiamo riaperto l'hotel, i turisti stanno tornando e la neve è bella».

Cosa le manca? Gli anni di Sapporo e delle coppe del mondo?

«No, bene così. Non si può far andare indietro un orologio. E neppure una vita».

 

 

 

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