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Covid, il calcio si libera dalle Asl: stop solo con il 35% di positivi in una squadra

Claudio Savelli
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La serie A esce dalla conferenza Stato-Regioni gridando «habemus protocollo!» anche se, in realtà, alla riunione non ha nemmeno partecipato. Non ce n'è stato bisogno: durante gli incontri della lunga vigilia tra il ministro della Salute, Roberto Speranza, quello per gli Affari Regionali, Maria Stella Gelmini, la sottosegretaria allo Sport, Valentina Vezzali, il presidente del Coni, Giovanni Malagò, e Maurizio Casasco, numero uno della Federazione Medico-Sportiva, era già stata trovata la formula magica. Ieri c'era solo da timbrare. L'esito scontato è una novità per il calcio e lo sporte rende questa vittoria particolarmente significativa. Vuol dire che il pallone ha aperto un dialogo proficuo con le istituzioni e che queste ultime ne riconoscono gli sforzi (come autolimitare per due giornate il pubblico a 5mila unità) e il ruolo nella società. Il vecchio protocollo dei 13 giocatori negativi al tampone (considerando anche i Primavera, seppur nati entro il 2003) come soglia minima per giocare era una mossa politica più che tecnica, infatti è già negli archivi: lo sostituisce il nuovo documento, che una volta approvato dal Comitato Tecnico Scientifico diverrà una circolare, secondo il quale con una soglia di atleti positivi al Covid superiore al 35% dell'intero "gruppo squadra", la partita sarà automaticamente rinviata. Niente più Asl, quindi, a stabilire se la squadra può viaggiare, allenarsi o scendere in campo secondo criteri soggettivi. La percentuale è matematica e uguale per tutti (anche per basket e volley, ad esempio). L'unica interpretazione è nelle espressioni «gruppo atleti» e «gruppo squadra», secondo le quali va considerata nel conteggio solo la prima squadra composta dai giocatori nella lista consegnata alla Lega, escludendo quindi i Primavera precedentemente coinvolti. La trattativa si è sviluppata attorno alla soglia: il Ministero della Salute chiedeva il 50%, lo sport il 30%, alla fine si è trovato il compromesso nel 35% con la promessa, di ritorno, di spingere sui vaccini per contenere i contagi. La gestione dei positivi si snoda secondo due casi. Se un solo componente è contagiato, i contatti stretti saranno liberi di allenarsi e giocare sotto sorveglianza all'interno della cosiddetta «quarantena soft». Se i contagiati sono almeno due, scatta il giro di tamponi per tutti e l'"autosorveglianza" per chi ha tre dosi di vaccino (o l'ultima entro 120 giorni) o la "quarantena soft" per tre giorni (e non più isolamento per cinque) per chi si è vaccinato da più di 120 giorni. Se il numero di positivi supera il 35%, oltre all'isolamento per i contagiati, il club effettuerà tamponi quotidiani per 5 giorni consecutivi peri contatti ad alto rischio e veglierà sull'obbligo di indossare la mascherina Ffp2 se non si effettua attività sportiva. La norma, considerata di carattere sanitario, dovrà ora essere valutata (forse già oggi) e approvata in via definitiva dal Comitato Tecnico Scientifico. «EQUILIBRIO» «È un punto di equilibrio ragionevole, a tutela sia del mondo sportivo che della salute pubblica» secondo Gelmini. «Abbiamo ascoltato le esigenze dello sport e ottenuto una rapida risposta della politica alle criticità di questi ultimi giorni», festeggia Vezzali. Se in una settimana hanno approvato un documento che andava redatto nei 20 mesi precedenti, non serviva tutto questo tempo. Ma, come si suol dire, meglio tardi che mai. Per il calcio si fa portavoce il presidente della Figc, Gabriele Gravina, che ha orchestrato le mosse della Lega in relazione alle preoccupazioni di Mario Draghi e del Governo. Esprime «soddisfazione», si augura «che anche il Cts riconosca l'impegno e gli sforzi di tutte le istituzioni» e aggiunge che «il calcio ha bisogno di dialogo e di regole chiare»: tutto ciò che non c'è mai stato fino a pochi mesi fa e che ora, magicamente, sembra esserci. Se stiamo sognando, non svegliateci.

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