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Serie A al tempo del Covid, ecco cosa prevede il protocollo: "Con 13 disponibili si gioca". Ma è caos recuperi

Claudio Savelli
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All'alba di gennaio 2022, quasi due anni dopo l'inizio della pandemia, la Lega di serie A si dà un protocollo per giocare le partite. Meglio tardi che mai, non fosse che questo protocollo, ad oggi, non è comunque una garanzia al regolare svolgimento delle partite. La regola ricalca quella della Uefa: nel caso i club abbiano a disposizione almeno 13 giocatori (di cui un portiere) tra le rose della prima squadra e della Primavera nati entro il 31 dicembre 2003 e negativi ai test entro le 24 del giorno precedente sono obbligati a giocare. Non dovessero farlo, perderebbero 0-3 a tavolino e incasserebbe un punto di penalizzazione. Meglio ribadire che non si parla di giocatori genericamente disponibili ma di professionisti non positivi al Covid, come sempre. Così la Lega rafforza la sua posizione, già nota: non rinvierà alcuna gara, a prescindere dal numero di calciatori con il Covid.

 

 

Il protocollo è in vigore dal momento in cui è uscito, quindi ieri mattina. Come al solito, spuntano i bastian contrari come Urbano Cairo, presidente del Torino, che questiona su una delle sfumature meno rilevanti: «Non ha senso far giocare i Primavera». Invece ha senso perché vale per tutti. Il nuovo protocollo non risolve "il" problema: le Asl possono imporre la quarantena ai giocatori positivi e ai contatti stretti, dunque anche a quelli negativi che potrebbero giocare. Per quanti giorni, poi, dipende delle dosi di vaccino effettuate, come da disposizioni dello scorso 30 dicembre (5 per chi ha la terza dose). Se anche i negativi vengono bloccati dall'autorità sanitaria, che ad oggi è sovrana rispetto a quella "calcistica", si torna al punto di partenza: alcune squadre non si presenteranno, verrà riconosciuta la causa di forza maggiore e la necessità di recuperare la partita. La Lega ha tirato la giacca delle istituzioni, facendo anche sapere che ricorrerà al Tar contro i provvedimenti delle Asl che non tengano conto delle nuove disposizioni, invocando il dialogo.

 

 

Lo scatto in avanti, poi, lo compie Beppe Marotta, ad dell'Inter ma anche totem della Lega stessa: «Le Asl dipendendo dalle regioni e non dal ministero, così assistiamo a scelte anomale», spiega e chiarisce che l'obiettivo, oltre il protocollo, è avere un confronto con il Ministero dello Sport e il Governo, che deve a sua volta confrontarsi con il Comitato Tecnico Scientifico, perché se le Asl possono decidere autonomamente ne risente il campionato». Aperto il vaso di pandora, il Governo si è svegliato. Un paio di ore dopo, il sottosegretario allo sport, Valentina Vezzali, annuncia l'impegno a istituire «una cabina di regia per uniformare decisioni Asl». Buongiorno. A ruota, il ministro degli Affari Regionali, Mariastella Gelmini, annuncia che mercoledì 12 gennaio ci sarà una riunione tra il Governo (con Speranza, ministro della Salute), le Regioni (da cui dipendono le Asl) e la Lega per trovare un'intesa sull'applicazione del protocollo e la gerarchia di potere decisionale.

 

 

L'altro problema, che invece la Lega dovrà risolversi da sola, è quello dei recuperi: se le grandi dovessero arrivare in fondo alle coppe europee e alla Coppa Italia, le date bisogna crearle. L'Atalanta, impegnata il 12 gennaio negli ottavi di Coppa Italia, può recuperare il 19 gennaio mentre l'Inter giocherà gli ottavi di Coppa contro l'Empoli (sono divisi in due infrasettimanali). I nerazzurri potrebbero sfidare il Bologna il 22 o 23 febbraio, nella stessa giornata dell'ottavo di Champions della Juve. La Lega si augura che non si aggiungano altre partite: «Prevale la fiducia di poter disputare tutta la giornata del 9 gennaio, superando la confusione generata dai provvedimenti delle Asl». Intanto, di nuovo Marotta si porta avanti: «L'idea è chiedere a Uefa e Fifa di posticipare le nazionali di giugno», in modo da allungare i campionati e dare ossigeno ai calendari, come nel 2020. 

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