Flavio Briatore, dopo Verstappen la Ferrari? "Nel 2022 ultima chance mondiale. Todt? Inutile"
Flavio Briatore, 7 mondiali vinti, talent scout di Alonso e Schumi, ex team principal tra i più abili e rispettati.
Durante i botti finali tra Max e Lewis eri ad Abu Dhabi.
«Credo che l'80% delle persone tifasse per Verstappen. Meritava di vincere. Ha fatto delle gare incredibili. Ma ha subito anche tante penalità. Non è stato fortunato sempre».
Ciò al titolo dà ancora più valore.
«Una corsa può vincerla un pilota o l'altro. Un Mondiale lo vince la squadra che durante l'anno ha fatto meglio, in questo caso la Red Bull. Ha messo in campo una macchina competitiva. Dopo 7 annidi dominio Mercedes era anche giusto che ci fosse una new-entry».
Il direttore di corsa, Michael Masi, si è dimostrato imperfetto e con fragilissime attenuanti.
«Durante le ultime qualifiche, quando ha negoziato con la Red Bull, non l'ho capito. Mai vista una roba del genere in F1. Per il resto, sono corse. Chi sta davanti vuole rimanerci e l'avversario farà di tutto per superarlo. È quello che abbiamo finalmente visto quest' anno, quello che gli spettatori vogliono. Questo Mondiale ha rilanciato la F1, riacceso l'interesse televisivo. Il lavoro di Stefano Domenicali e di tutti è stato improntato al cambiamento. Il duello Verstappen-Hamilton va bene così. Durante la competizione tra Hamilton e Bottas nessuno guardava più le gare, era un affare interno alla Mercedes».
George Russell l'anno prossimo sarà proprio in Mercedes: correrà più alla Bottas (di cui prende il posto) o alla Rosberg?
«È un ragazzo molto veloce. Bottas lo era solo se partiva davanti, nella mischia si perdeva. Valtteri ha vinto delle gare, per Mercedes è stato un pilota buono, non straordinario. Russell sarà sicuramente più competitivo. Tra i giovani è il più forte in assoluto. Darà filo da torcere ad Hamilton».
Tra gli altri giovani quest' anno chi salvi?
«Norris e Gasly hanno fatto un super lavoro in termini di velocità. Tsunoda non è ancora al loro livello».
Team flop del 2021?
«Tolte Red Bull e Mercedes, tutti gli altri hanno floppato. La scuderia che più di tutte mi ha deluso è stata la Aston Martin, non più col podio a portata di mano come l'anno scorso. Anzi, un disastro completo».
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Per Ferrari è logico aspettarsi il cambio di passo?
«Sono stati anche loro una delusione enorme. Nel 2022 si giocano l'ultima chance. Anche perché sono anni che si parla di quello successivo come l'anno del cambiamento. Se anche col nuovo regolamento non dovessero riuscire ad inserirsi nella lotta per il Mondiale vorrà dire che davvero c'è qualcosa che non funziona alla base e la ristrutturazione del team sarà inevitabile. La squadra quest' anno funziona, Leclerc e Sainz sono ok. Servono però degli ingegneri che diano a piloti e meccanici una macchina vincente».
Jean Todt super consulente solo un ballon d'essai?
«I consulenti sono figure che non servono a nessuno, se non a far perdere del tempo. E poi uno con la carriera come quella di Todt non credo possa accettare un simile incarico. Il team è un mestiere complicato, non da consulenti, lo devi vivere. Non esiste che uno faccia due lavori. Helmut Marko è qualcosa di più di un consulente. È sul pezzo, è sempre lì. Assieme a Christian Horner coordina, gestisce».
Leclerc uomo di punta, ma se la storia non cambia?
«Credo debba rimanere in Ferrari, simboleggia la loro rinascita. Con una macchina vincente può portare a casa il Mondiale. Ed è ancora giovane, 24 anni. D'altronde basta guardare le performance di Alonso, 40 anni, per capire che a qualsiasi età, in F1, un talento può essere competitivo».
Il suo rientro è stato esplosivo, come l'hai vissuto?
«Con grande gioia. Credo si sia scrollato di dosso chiacchiere assortite da paddock di gente che non lo conosceva affatto. Su tutte quella di essere un pilota difficile da gestire. E non molla: anche se è 14esimo, corre come se si stesse giocando la vittoria. Ha preso in mano da leader la Alpine e si è guadagnato il rispetto di tutti. Se Ocon ha vinto a Budapest, deve dire grazie solo a Fernando, che gli ha tenuto per tanti giri Hamilton dietro. Si è sacrificato, da team leader vero».
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Quando capisti che Schumacher sarebbe diventato un campione?
«L'avevamo da poco strappato alla Jordan dopo una battaglia molto dura. Era il 1991 e toccava correre a Monza, ma non avevamo avuto il tempo di provare la macchina. Decidemmo di fargli fare le prove nel circuito di Pembrey. Dopo un estenuante viaggio, meccanici ed ingegneri mi dicono: "Inutile farlo correre, le condizioni climatiche sono disastrose". Lui si mise lo stesso in macchina e poco dopo segnò il giro della pista. Chiamai Luciano Benetton: «Forse abbiamo trovato il pilota che ci farà vincere». Si mise a ridere. Nel '94 vincemmo il primo Mondiale».
Hai detto: "La Ferrari fu per lui la naturale destinazione".
"La nostra amicizia rimase la stessa anche quando andò via. Durante le prime gare in Ferrari, quando si provava al mattino, Michael era così abituato a lavorare con la Benetton che si fermava per sbaglio davanti ai nostri box. Ha fatto cose straordinarie con la Rossa grazie anche alla mia macchina. Al suo approdo a Maranello si ritrovò Ross Brown e Rory Byrne, che erano stati dei nostri. C'era molta Benetton nel primo mondiale vinto dalla Ferrari con Schumi".
Il più grande di sempre?
«Per la F1 che ho vissuto io non posso che dire Senna. Abbiamo avuto Schumi, Prost, Alonso, ma l'unica star è stato Ayrton. La gente lo idolatrava. In Giappone ricordo file chilometriche di gente che voleva toccarlo. Nessuno si capacitava, dopo l'incidente di Imola, che una cosa del genere potesse capitare a un dio come lui».
Il ricordo più bello di Frank Williams, che se n'è andato a fine novembre?
«Telefonava 2-3 volte l'anno e mi diceva: "Vengo in fabbrica date a prendere un caffè, chiacchieriamo un po". Avevamo due filosofie diverse. Lui era più attento al lato tecnico ed era nato col motor sport nello stomaco. Io badavo più a quello commerciale, allo spettacolo, volevo macchine tra loro più uguali e costi calmierati per i team. In quella filosofia alla fine mi ha seguito, pur con qualche arrabbiatura all'inizio. Abbiamo imparato tanto l'uno dall'altro. Sono certo che con me si sia davvero divertito molto».