Scudetto, una poltrona per tre: Napoli-Milan-Inter, perché sì e perché no (ma occhio alla Dea)
L'Inter ha riaperto la corsa scudetto sfruttando l'assist della Fiorentina e fermando un treno in piena corsa, il Napoli: avesse perso con l'ex Spalletti, sarebbe scivolata nel vagone della Champions, anche per una caduta nel morale. Invece si ritrova rinvigorita e a soli 4 punti dalla L'infortunio con stop di una decina di turni per Osimhen è una notizia perfino peggiore del ko (3-2) del Meazza, che può essere nelle cose. Il Napoli perde uno degli uomini che hanno reso la squadra diversa rispetto allo scorso anno, spingendola dalla zona Champions al vertice. Ora torna "normale" ma deve reggere un campionato da prima in classifica. Il problema è che né Petagna né Mertens hanno caratteristiche simili al 9 nigeriano: il Napoli per i prossimi due mesi (Osimhen avrebbe giocato la Coppa d'Africa dal 9 gennaio al 6 febbraio) dovrà cambiare uno spartito su cui ha fondato l'ascesa, avvicinandosi ad uno dei due centravanti di riserva e quindi scoprendo il fianco di una difesa che ha incassato 4 reti nelle ultime 2 partite contro le 3 delle prime undici.
Altro uomo della differenza è Spalletti, la cui reazione alla prima sconfitta del Napoli è invece una buona notizia: pacato, positivo, il mister sta cercando di evitare i bassi umorali di una città che, dopo il prodigioso inizio, rischia di essersi illusa circa l'obiettivo stagionale, che resta il ritorno in Champions. Tra le tre prime, il Napoli è quella con il calendario peggiore da qui a Natale: tre scontri diretti con Lazio (domenica), Atalanta e Milan, di cui i primi due a cavallo delle due sfide decisive in E-League con Spartak e Leicester. Non è la condizione ideale visto che le riserve non sono state all'altezza degli eletti, soprattutto a centrocampo dove i vari Demme e Lobotka, tra infortuni e sfiducia, hanno messo insieme solo 400 minuti insieme. Pure Elmas e Lozano devono emergere dall'anonimato, anche perché pure il fondamentale Anguissa starà fuori un mese per una lesione alla coscia. L'impressione è che manchi ancora personalità nei momenti decisivi se non ci sono gli uomini migliori come Osimhen o Insigne, incupito dal mancato rinnovo. Lo ha sottolineato anche Spalletti, «serve più coraggio».
E serve ora. C.S. I rossoneri sono tornati da Firenze senza punti, masticando la prima sconfitta, però con rinnovate certezze e un difetto da sistemare in fretta. Certezze: la prestazione e la reazione. Il Milan infatti ha riaperto una partita che la Fiorentina aveva chiuso sul 3-0 e fino all'ultimo minuto ha provato a pareggiarla. Il difetto inedito è l'atteggiamento superficiale di qualche giocatore, in particolare Tatarusanu e Gabbia, Tonali e Theo Hernandez, colpevoli delle fatali leggerezze in ognuno dei gol subiti: il fatto che siano sia riserve sia titolari sottolinea che le disattenzioni non dipendono dal ruolo in rosa, dunque non basta sperare nel ritorno lampo di Maignan, Tomori, Calabria e Re bic (difficile). Per Pioli è obbligatorio ricordare alla squadra che essere campioni d'inverno non conta nulla, che esaltarsi per un buon inizio è il miglior modo per finire male il campionato, che molto è stato fatto ma quel che resta è la parte più difficile, altrimenti rischia di ripetersi la storia dello scorso anno, che non è un male assoluto ma non sarebbe nemmeno un passo in avanti.
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Vanno seguiti i giocatori come Ibra e Giroud che in carriera hanno vinto e conoscono le curve del percorso. Il punto è averli in campo, evitando gli infortuni che invece assillano il resto della rosa: sono troppi e il Milan deve trovare un modo per prevenirli. Il calendario agevola la gestione di Pioli: in Champions è più probabile uscire che compiere il miracolo (serve vincere domani al Wanda contro l'Atletico e poi in casa con il Liverpool), poi l'unico incrocio pericoloso sarà quello con il Napoli a San Siro del 19 dicembre, per il resto sono partite teoricamente abbordabili quelle con Sassuolo, Genoa, Salernitana, Udinese ed Empoli, ultimo impegno del 2021. Partite che il Milan non ha mai sottovalutato e non può permettersi di sottovalutare ora che l'Inter si avvicina. L'Inter gioca bene e gioca sempre meglio.
È la miglior notizia per Simone Inzaghi: la squadra sta ritrovando, seppur in altri modi, il livello necessario per (ri)vincere lo scudetto. Ora che le prime si sono avvicinate a soli 4 punti, va fissato l'obiettivo massimo: deve sentirsi sotto pressione e deve mettercela Inzaghi, che a sua volta deve sopportarla per la prima volta in carriera. Prima (domani), però, va archiviata la Champions, sfatando il tabù Shakhtar (gli ultimi tre scontri sono finiti 0-0) e sperando che il Real Madrid faccia il suo con lo Sheriff: sarebbe un ritorno agli ottavi dopo quasi dieci annidi astinenza (l'Inter di Ranieri uscì con il Marsiglia nel marzo 2012), un punto e accapo per rituffarsi fino a febbraio sul campionato. Rispetto a Milan e Napoli, l'Inter è in crescita. L'impressione è che il potenziale sia stato finora parzialmente inespresso soprattutto per un doveroso riassestamento tra Conte e Inzaghi, la cui vocazione è nettamente più offensiva. D'altronde per compensare all'addio di Lukaku e Hakimi (31 gol in due nella scorsa serie A) serviva un modo di attaccare collettivo. Funziona: l'Inter ha infatti il miglior attacco con 32 reti, 3 più dei rossoneri e 6 più del Napoli, e la difesa si sta allineando verso i numeri necessari per trionfare in Italia: sono solo 3 i gol incassati nelle ultime 4 giornate, tutti dalle due capoliste affrontate in sequenza. Nei cinque principali campionati, solo Bayern e Liverpool hanno segnato di più con 41 e 35 reti (e una partita in meno) e solo Chelsea (15) e Hoffenheim (13) hanno mandato in gol più giocatori (12 i nerazzurri). Non funzionano Handanovic -quella su Mario Rui non è una prodezza ma un errore andato bene-e i ricambi in fascia: quando Darmian e Perisic, tra i migliori finora, lasciano il posto a Dumfries e Dimarco, l'Inter piega le ali, deve passare per il centro e finisce per sbilanciarsi.