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Milan, Pippo Pancaro: "I segreti di Pioli e Maldini, perché i rossoneri sono rinati". E su Kessie...

Lorenzo Pastuglia
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Ripartire dopo il pari nel derby. Il Milan lo fa da Firenze, nell'anticipo di domani sera alle 20.45, con la voglia di approfittare dello scontro diretto Inter-Napoli e cercare l'undicesima vittoria su 13 partite stagionali. «Gli uomini-match? Dico Leao e Vlahovic». Firmato: Pippo Pancaro, 50 anni, doppio ex della sfida che in serie A ha giocato anche con Lazio, Cagliari e Torino.

L'anno scorso, contro lo Spezia di Italiano, il Milan perse definitivamente la vetta del campionato in favore dell'Inter. Quest'anno la situazione è differente...
«Ogni partita è a sé, ma il Milan mi piace già da diverse stagioni. C'è grande chiarezza di squadra e i giocatori sanno cosa devono fare se chiamati in causa. Merito del mio amico Paolo Maldini, che oltre a essere il difensore più forte che ho visto ha saputo riconfermarsi anche da dirigente. Una persona che serviva per il calcio italiano».

 

 

Oggi lei allena (attualmente è senza squadra): tecnicamente cosa le piace di più del gioco del Milan e quali giocatori l'hanno sorpresa in meglio?
«Mi piace l'idea che Pioli ha portato nel 2019. Una persona molto pacata nel suo modo di fare, ricorda quasi l'Ancelotti dei miei tempi: cerca sempre il dominio del gioco e vuole riconquistare palla appena persa con una pressione molto alta. L'esplosione di Tonali per me non è una sorpresa perché è un fuoriclasse, e Calabria negli ultimi due anni è quello cresciuto più di tutti. Poi c'è Leao, che nell'uno contro uno crea sempre superiorità, per me l'uomo-chiave di sabato insieme a Vlahovic».

Nomina la punta della Fiorentina, ma sia lui che Kessie sono oramai in partenza. Si sta comportando bene Maldini nella trattativa sul rinnovo dell'ivoriano?
«Per Vlahovic penso sia più un aspetto soggettivo, Maldini si sta facendo rispettare con Kessie. Ha rimesso al centro la società, riportando i valori che c'erano nello spogliatoio di una volta, quello dei miei tempi, quando noi giocatori capivamo che i vertici c'erano e ci davano le nostre responsabilità. La sensazione è che quei valori siano tornati. Deve decidere il Milan, ed è giusto così. Franck deve capirlo».

La Fiorentina si presenta alla sfida senza i suoi centrali Milenkovic e Martinez Quarta, al loro posto ci saranno Venuti e Igor.
«Per il gioco di Italiano questo può essere un problema. Un allenatore che vuole recuperare palla subito, che fa una pressione molto intensa, alta, togliendo le linee di passaggio. In fase di possesso palla è più irruento di Pioli, che ha gente che sa ragionare maggiormente in mezzo al campo. Ciò vuol dire lasciare spesso i suoi difensori da soli, negli uno contro uno, e per reggere una sfida del genere bisogna avere determinate caratteristiche fisiche e ritmo partita».

Oggi nel suo ruolo di terzino gioca un certo Theo Hernández: in cosa può ancora migliorare?
«Theo è uno dei tre terzini più forti al mondo, ha uno strapotere fisico impressionante e quando parte in velocità è difficile da fermare. Forse io ero più difensivo, a Milano giocavo da mancino nonostante fossi destro naturale. Chi mi somiglia di più in A? Dico Spinazzola, anche se lui è più veloce».

 

 

Cosa ricorda di quei due anni al Milan?
«All'arrivo a Milanello ebbi la sensazione di essere in una famiglia, di trovarmi lì da tantissimi anni. Ero con giocatori che sapevano di essere forti e avevano fame di vittorie. Scattò un feeling importante con tutto l'ambiente, tra cui i tifosi. Nella memoria c'è il gol dell'1-0 a Brescia e l'esultanza sotto la curva, i sorrisi per le battute di Pirlo o l'Inzaghi emotivo, capace di caricarsi prima delle finali. Preparava le partite mentalmente, concentrato in se stesso, e finiva per contagiare pure me che non dormivo per l'adrenalina».

Due furono le partite da incubo nella sua carriera. Partiamo dalla prima: il disastro del Riazor di La Coruña, che vi fece uscire ai quarti di Champions nel 2004.
«Una serata maledetta. Il problema non era di preparazione fisica, ma inconsciamente ci siamo rilassati troppo dopo il successo per 4-1 a San Siro. A Milano potevamo segnare anche due-tre gol in più, ricordo anche che i nostri avversari ci dissero a fine partita: "Siete troppo forti per noi". In Spagna, invece, successe il contrario: loro andavano al 100%, noi eravamo fermi».

E a Istanbul contro il Liverpool?
«Quella finale di Champions persa nel 2005 portava con sé una sensazione nettamente diversa dal Riazor. Il nostro primo tempo fu mostruoso, neanche il Liverpool credeva nella rimonta. Poi i due gol a freddo nella ripresa diedero vita a loro e paura a noi. Tutto si rimise in gioco in un attimo, e ancora non so come Dudek parò quel tiro di Sheva sul 3-3 nei supplementari. Le voci sui festeggiamenti nello spogliatoio a fine primo tempo? Tutte stupidaggini, eravamo troppo esperti per commettere una baggianata del genere».

 

 

Al Milan giocava spesso, ma nell'estate 2005 scelse Firenze. Perché?
«Doveva partire Kaladze, che aveva un'offerta da un altro club, mentre io sarei rimasto insieme a Jankulovski, in arrivo da Udine. All'ultimo però saltò la cessione di Kakha e Galliani mi fece capire che, se fossero arrivate altre offerte e avessi voluto accettarle, avrebbe compreso la mia scelta. Sia Maldini che Ancelotti fecero di tutto per tenermi, ma ormai ero sfiduciato e saremmo rimasti in tre per un posto, così scelsi di andare a Firenze. Tornassi oggi indietro, però, sarei rimasto a Milano tutta la vita, avrei avuto ancora le mie chances».

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